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Gaza, i palestinesi iniziano ad ammazzarsi tra loro

di Costanza Cavallimartedì 14 ottobre 2025
Gaza, i palestinesi iniziano ad ammazzarsi tra loro

3' di lettura

«Questa volta le persone non stavano fuggendo dagli attacchi israeliani, stavano scappando dalla loro gente», ha detto alla Bbc un residente del quartiere di Tel al-Hawa, nella parte meridionale di Gaza City. Lì, domenica, sono arrivati oltre trecento uomini di Hamas per assaltare l’isolato dove si erano trincerati gli uomini armati del clan Doghmush. Sono morti in 52. Hamas ha accusato il clan di aver ucciso 12 dei suoi combattenti in precedenti scontri, Doghmush ha accusato i miliziani di aver sfruttato il cessate il fuoco per prenderli di mira per presunta cooperazione con Israele.

Come gli Husayni e i Barghouti, i Doghmush sono una delle famiglie più importanti della Palestina e non sono nuovi alle lotte intestine. Di origine turca, arrivati a Gaza dall’inizio del XX secolo, il clan ha alternato periodi di allineamento con Hamas ad altri di dichiarata opposizione. Da marzo dell’anno scorso è guerra aperta: Hamas ha giustiziato il loro leader, Saleh Doghmush, accusato di collusione con Israele. Secondo le fonti, era stato contattato dalle Forze di difesa israeliane perché supervisionasse la distribuzione degli aiuti nella Striscia.

Niente di nuovo, per un territorio da sempre irrorato da clientelismo e corruzione, faide, tradimenti e influenze e, ovviamente, dalle armi. Durante le intifada, i clan di Gaza imbracciarono gli Ak-47 e contribuirono all’eliminazione dell’Autorità nazionale palestinese. Hamas regnante, però, famiglie, gang, gruppi paramilitari, non sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Fin dall’inizio della guerra scoppiata dopo il 7 ottobre, le manifestazioni di dissenso nei confronti di Hamas si sono registrate sia tra gli sfollati, costretti a fuggire dalle bombe mentre i miliziani riparavano nei tunnel, sia per la gestione del mercato nero degli aiuti umanitari, che, invece di essere distribuiti alla popolazione, scendevano nei cunicoli sotterranei assieme ai terroristi. Lo scorso marzo, per citare l’esempio più recente, era circolato un appello per una intifada sha’biyya, un’intifada popolare, contro Hamas. La carta era intestata: “Stato di Palestina – Famiglie e clan dei governatorati meridionali della Striscia di Gaza”. Il testo diceva che Hamas avrebbe dovuto lasciare immediatamente la presa su Gaza, che l’assedio subìto era stato causato da «decisioni che non ci rappresentano», che «Gaza sarà liberata dalla volontà del suo popolo».
Per due anni le proteste sono state tacciate di collaborazionismo filo-israeliano e duramente represse. Adesso le famiglie hanno buon gioco per accaparrarsi un po’ di potere nella Gaza che verrà, e cioè nella fase 2 del piano trumpiano.

Nella ricostruzione, inoltre, anche i signori della guerra vogliono la loro parte. Tra questi, Hussan al Astal, che ha reclutato la sua milizia offrendo beni di prima necessità, acqua e elettricità nel villaggio abbandonato di Kizan an Najar, a est della città. Nella piccola enclave armata «non c’è posto per i cani di Hamas», recita il suo slogan. È un gruppo che potrebbe diventare la spina dorsale dell’autorità transitoria per la sicurezza di Gaza guidata dall’ex primo ministro britannico Tony Blair? «Penso che l’aiuto di Blair possa essere utile», ha risposto Astal in un’intervista al Telegraph, «soprattutto se accompagnato da un mandato internazionale. Siamo pronti a collaborare con chiunque voglia portare aiuto alla nostra gente». Oltre alla sua milizia, nella mappa del potere leopardato della Striscia si muovono almeno altri tre gruppi armati: gli al Majida a Khan Younis, gli uomini di Yasser Abu Shabab nel settore orientale di Rafah (sud della Striscia) e quelli di Ashraf al Mansi, a Beit Lahiya (nord).
Il rischio è che Gaza resti in un limbo: il 47% non controllato da Israele rischia o di tornare sotto il controllo di Hamas, che secondo la Bbc ha schierato 7mila miliziani sul territorio per «ripulire Gaza dai fuorilegge e dai collaboratori di Israele», oppure di diventare terreno per una guerra civile tra disperati, con scontri come quelli avvenuti la settimana scorsa nella zona costiera di Khan Younis, dove si sono scontrati uomini armati della famiglia Majayda e forze di polizia di Hamas, supportate dalle Brigate al-Qassam. Intanto, anche in Giudea e Samaria la situazione è tesa. Nel fine settimana, le autorità israeliane hanno condotto operazioni in diversi villaggi della zona di Ramallah, tra cui Silwad e Nil’in, dove si erano radunati sostenitori di Hamas. Sarà anche “neocoloniale”, come i critici hanno tacciato il piano americano, ma il Consiglio della Pace e la Forza internazionale di stabilizzazione dovranno muoversi in fretta.