Per sconfiggere un nemico, occorre prevedere le sue mosse e conoscere la sua mentalità. Magnus Ranstorp, esperto di terrorismo islamico dell’Accademia militare di Svezia, ha iniziato a studiare a fondo Hamas dagli anni ’90, ha incontrato il loro fondatore, lo sceicco Ahmed Yassin, e ha seguito l’evoluzione del “movimento di resistenza islamico” (la cui sigla significa “zelo” e “devozione”) fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza. E ora, dopo aver scritto numerose opere sul fenomeno palestinese, è venuto il momento di tirare alcune conclusioni. Provvisorie, in attesa degli sviluppi, dei quali si può comunque individuare una direttrice.
Attualmente, scrive Randstorp sul numero di ottobre di CTC Sentinel, la rivista dell’accademia militare statunitense di West Point, Hamas è divisa in due fazioni. Da un lato, il blocco pragmatico che fa riferimento a Khaled Mashal disposto a cedere il controllo della Striscia di Gaza, ad abbandonare la lotta armata, a riunirsi con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e perfino ad accettare la soluzione a due Stati. Dall’altro, i sostenitori di Khalil Al-Hayya che, nonostante sia il negoziatore degli accordi del Cairo e di Sharm el Sheikh, rappresenta l’ala dura, che rifiuta il disarmo e continua a fare affidamento su Qatar, Turchia e Iran per non scomparire completamente dal territorio e preparare l’insorgenza militare.
Gaza, la mattanza di Hamas: 300 morti in 48 ore
Dimostrazioni in strada non se ne vedono né in Italia né in Europa, e quelle che si vedono sono sempre e c...Gaza, il campo di battaglia, rappresenta soltanto una delle quattro dimensioni della struttura policentrica di Hamas, che opera anche in Cisgiordania, esercitando la sua influenza attraverso le moschee e i gruppi studenteschi, attraverso i quali recluta nuovi terroristi e ricrea la propria organizzazione clandestina. Ma il gruppo mantiene una leadership esterna a Doha, in Qatar, e a Istanbul, in Turchia, il «motore diplomatico e finanziario» che gestisce l’attività politica, di raccolta fondi e di propaganda. Infine, la diaspora palestinese, che amplifica la narrativa sul “genocidio” con un’attività lobbystica presso le istituzioni straniere, unita alla ricerca di risorse economiche, ma potrebbe entrare in azione contro obiettivi israeliani ed ebraici all’estero. Una «formazione ibrida», quindi, «un marchio religioso-politico senza una sede, affiancato da una milizia sotterranea». Pericoloso, perché può cambiare aspetto con la strategia dell’inganno.