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Donald Trump ristruttura la Casa Bianca? Per la sinistra è un vandalo

di Costanza Cavallidomenica 26 ottobre 2025
Donald Trump ristruttura la Casa Bianca? Per la sinistra è un vandalo

4' di lettura

Ieri il New York Times è riuscito a far piagnucolosa persino la newsletter del mattino: la mail ha tintinnato nella posta e il titolo era “So long, East Wing”, addio, ala est. A noialtri, obbligati a mandare a memoria ben altro addio quando avevamo dodici anni, con quella poveracrista di Lucia minacciata da don Rodrigo, costretta a mollare fidanzato, futuro, famiglia, casa e buttata su una barchetta per finire chissà dove, chissà con chi e per chissà quanto, c’è venuto da sbuffare. Ma visto che i grandi giornali, pure il Washington Post e il Wall Street Journal e il Guardian, hanno bisogno di una scatola di kleenex per elaborare la demolizione di un braccio della Casa Bianca, per di più in una nazione, gli Stati Uniti, dove un edificio non fa in tempo ad essere costruito che già gli sembra vecchio, viene da chiedersi se non abbiano tutto questo zelo nel giurarla a Donald Trump solo perché è Donald Trump.

Naturalmente, i giornalisti che parlano di fascismo incipiente anche per una ristrutturazione hanno ben chiara la cronologia dei lavori perché i coccodrilli che piangono quelle quattro mura di 123 anni sono corredati da articoli con la storia del 1600 di Pennsylvania Avenue, a partire da quando la residenza del presidente degli Stati Uniti venne costruita, nel 1800. Fu così danneggiata dai soldati britannici durante la guerra del 1812, che nel 1814 ci fu bisogno di una ricostruzione sostanziale. Il portico sud fu aggiunto nel 1824 da James Monroe, un balcone nel 1948 da Harry Truman, il portico nord nel 1830 da John Quincy Adams. L’ala ovest fu costruita nel 1902, durante l’amministrazione di Theodore Roosevelt, lo Studio Ovale nel 1909, con William Howard Taft, e poi ristrutturato e trasferito durante il primo mandato di Franklin D. Roosevelt. Insieme con l’ala ovest, nel 1902 fu aggiunta l’ala est, che fu modernizzata durante la Seconda Guerra Mondiale. La residenza del presidente fu sventrata e ricostruita da Truman nel 1948.

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La sala cinema fu aggiunta nel 1942, ristrutturata nel 1982 e nel 2004. Nel 1933, Roosevelt aggiunse una piscina coperta, che nel 1970 Nixon riempì e trasformò nell’attuale sala stampa. Nel 1975, a Ford venne lo sghiribizzo di volere una piscina all’aperto. Truman desiderò una pista da bowling nel 1947, nel 1969 Nixon la costruì nuova. Nel 1902, Theodore Roosevelt aggiunse un campo da tennis, che Taft spostò a sud nel 1911 e che George H.W. Bush ampliò nel 1989. Nel 2009, Obama ristrutturò il campo in modo che potesse essere utilizzato anche per giocare a basket. Nel 2020, Trump aggiunse un padiglione al campo da tennis. Nel 1954, Eisenhower fece installare un campo da golf, che fu rimosso da Nixon, reinstallato nel 1991 da Bush e spostato da Clinton un paio d’anni dopo.
Al sunto storico, gli indignati commentatori sono costretti ad aggiungere che Trump pagherà i 300 milioni di dollari dell’operazione di tasca sua e grazie a una trentina di donatori (ci sono Google, Amazon, Meta, Lokheed Martin, Palantir, filantropi e fondi di private equity). Harry Truman e Theodore Roosevelt, per esempio, utilizzarono invece denaro pubblico.

Viene naturale però chiedersi se di una sala da ballo da 8.400 metri quadri con una capienza di mille persone ci fosse proprio bisogno, ma nemmeno questo argomento è un lasciapassare allo sdegno (si trova chi c’è riuscito ugualmente, ed è il governatore della California, Gavin Newsom, quello che sorseggiava vino sulle colline della Napa Valley mentre Los Angeles veniva data alle fiamme nelle rivolte contro le espulsioni degli immigrati: «Trump sta letteralmente distruggendo la Casa Bianca», ha tuonato). Ma la risposta purtroppo, dicono sempre gli stessi giornali, è che sì, in effetti ce n’era bisogno e ci pensò già Harrison nel 1891: la capienza della sala da pranzo è di 140 persone e quella della sala est è di 200. Le grandi cerimonie si svolgono quindi sotto costosissimi tendoni eretti temporaneamente nel giardino sud con grande disdoro degli ospiti, che pensano di essere stati invitati a una cena di Stato e si ritrovano a incipriarsi il naso in un bagno chimico senza aver mai messo piede alla Casa Bianca.

«I francesi hanno l’Eliseo, e noi qui stiamo organizzando una festa in giardino», commentò una volta Michael LaRosa, l’addetto stampa di Jill Biden, consapevole che le polemiche sulle leggi di bilancio infangano meno di un party organizzato male. Nella gnagnera generale, si è alzata anche la voce di Hillary Clinton e non è stato per confessare che nel 1998 avrebbe voluto far deflagrare lei l’intera struttura e chi c’era dentro, ma per informare gli americani, vedi mai non lo sapessero, che la Casa Bianca «non è casa sua», e cioè di Trump, «ma è casa vostra. E lui ve la sta distruggendo». Ecco, vorremmo rassicurare l’ex segretaria di Stato che il problema non è ciò che sta distruggendo, ma la tamarraggine di ciò che tirerà su.

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