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Nemmeno i morti hanno lo stesso valore

La sinistra italiana e il caso illuminante di Gaza e Ucraina
venerdì 21 novembre 2025
Nemmeno i morti hanno lo stesso valore

3' di lettura

Ma cosa diavolo è questo doppiopesismo del corpo straziato e dell’anima perduta a cui siamo ormai assuefatti? Lo scorrimento delle home page dei siti che conta(va)no, ieri sera, sembrava un’escursione nella grande ipocrisia contemporanea, quella che riassume tutte le altre: alcuni morti sono più morti di altri (perdonate la brutalità, ma è quella che il mainstream impagina quotidianamente), e soprattutto danno più titoli.

Il discrimine mediatico non è la vita umana, non è nemmeno una torsione perversa della dottrina della “guerra giusta”. Anzi, si enfatizzano i civili uccisi da una democrazia impegnata nell’esercizio spesso estremo e condannato all’imperfezione dell’autodifesa, e si perdono di vista i civili uccisi da un’autocrazia impegnata nella pratica sempre barbara dell’aggressione. Ventotto morti (al momento in cui questo pezzo viene scritto) nella Striscia di Gaza per, copia&incolliamo dal Media Collettivo, “i nuovi raid dell’Idf”. Non si trova mai nei titoli, e raramente nei catenacci, quella quisquilia che una volta si chiamava l’antefatto: la violazione del cessate il fuoco certificato dall’accordo del 10 ottobre da parte dei galantuomini nazislamisti di Hamas, che hanno sparato contro i soldati israeliani di stanza oltre la “Linea gialla” a Khan Yunis. Tanto che nei “nuovi raid” (che quindi non erano figli di un malumore mattutino di Netanyahu, ma tecnicamente e militarmente una reazione prevista dalla stessa impalcatura della pax trumpiana) sarebbero stati eliminati il comandante della Brigata Zeitoun e il capo dell’unità navale di Hamas. Oltre a civili palestinesi, tra cui donne e bambini: ennesima tragedia non riscattabile da mettere sul conto infame dei tagliagole. Associazione logica elementare, che non viene svolta quasi da nessuno, mentre tutti titolano, postano, ritwittano, strillano sulla nuova “strage di Gaza”, ovviamente un altro capitolo del genocidio immaginario e mai interrotto, nel chiacchiericcio social-giornalistico nostrano.

Altro inferno bellico, altri civili massacrati, diversa (o meglio impercettibile, in questo caso) eco. Sono almeno 20 i morti e 66 i feriti, nell’attacco assassino russo contro la città di Ternopil, Ucraina occidentale. Non Donbass, non effetto terrificante ma inevitabile della guerra di trincea, ma la ricerca vile della morte per la morte: droni e missili contro edifici residenziali di nove piani, sotto le cui macerie potrebbero dibattersi ancora persone, o quel che ne resta. Nessuna ratio militare, tanto meno nessun meccanismo reattivo, trattandosi dei bombardamenti dell’invasore.

E anche (quasi) nessun titolo, nessuna lacrima social che s’innalzi a pianto collettivo, nessuna copertura sistematica, nessun indugio tetramente compiaciuto nei dettagli. Qualche lancio d’agenzia, qualche news in breve, qualche parentesi negli articoli di risulta (chi scrive, per appurare i dettagli, è dovuto sbarcare sull’inappuntabile Vatican News).

Cadaveri di serie B, peggio: cadaveri di civili di serie B. È la guerra scarnificata in marketing (pseudo)culturale, previa pesatura ideologica delle anime. Ci sono quelle che rinforzano il dogma laico terzomondista, antioccidentale, antisionista (ad essere eufemistici), e quelle in bilico sull’eresia, che potrebbero evocare valori difficilmente sfrattabili da casa nostra, dall’Europa e dall’Occidente, come la libertà e la democrazia insidiate. È l’applicazione dell’“oicofobia” indagata da Roger Scruton al notiziario di giornata: tenere “alto” ciò che può avvalorare il risentimento contro la nostra casa geopolitica e culturale, spegnere ciò che può ravvivarne la consapevolezza.

C’è una variante. Quando i morti Altrove sono decine e decine di migliaia, ma non sono incasellabili nel gioco di società masochista di cui sopra, quando sono il frutto maledetto di una tragedia tutta endogena dentro cui lo schema manicheo dei nostri intellò oicofobi non entra nemmeno a forza, l’escamotage è molto semplice: non parlarne. È il caso del macello perenne del Darfur: anime morte in partenza, inservibili nel discorso pubblico. Che equivale sempre più a un raglio.