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Social vietati agli under 16? Non è la soluzione, la battaglia si vince educando

Il proibizionismo non ha mai funzionato, non serve scomodare gli speakeasy americani degli anni Venti per ricordarselo
di Claudia Osmettigiovedì 11 dicembre 2025
Social vietati agli under 16? Non è la soluzione, la battaglia si vince educando

3' di lettura

È che sono allergica ai divieti. Così, in generale: vale in questo caso, cioè per lo stop ai social network (australiani) ai minori di sedici anni, e vale sempre. Il proibizionismo non ha mai funzionato, non serve scomodare gli speakeasy americani degli anni Venti per ricordarselo. Vietato vietare, l’ho sempre pensata in questi termini. Sì, d’accordo, viviamo in un consesso civile, in una società, e le regole ci servono per non sopraffarci a vicenda: ma quando in ballo ci sono le libertà individuali, le preferenze di ognuno, i comportamenti che (al limite) nuocciono giusto a chi li pratica, che male c’è?

Dice: «Eh ma son ragazzini, cambia tutto». Ni. Nel senso che come obiezione la capisco, i pericoli che corri (in rete) a dodici anni non sono gli stessi che corri (sempre sul web) a quaranta e, quando sei adolescente, hai le difese immunitarie, specie quelle digitali, ancora poco sviluppate. Però allora le riserve si moltiplicano.

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Primo, come lo controlli un maxi divieto del genere? Fai presto a rispondere: «Coi meccanismi di verifica dell’età». Le restrizioni si aggirano, al giorno d’oggi con una facilità disarmante. Tra l’altro loro, gli smanettoni veramente nativi digitali, diversissimi e “smart” rispetto a noi nati negli anni Ottanta o Novanta che siamo cresciuti con l’analogico, sanno benissimo come si fa. Ti gabbano in un click. Ci sono i vpn (vedi com’è finita la storia, analoga, del divieto di accesso ai siti porno inglesi a chi non aveva ancora diciotto anni, escamotage che da un mesetto è in vigore pure in Italia), ci sono le certificazioni falsate, gli spid “rubati”, ci sono i dispositivi personali passati di mano (mia nipote ha otto anni, la prima cosa che ha imparato a memoria è stata il pin del cellulare di suo nonno: lo usa per vedere i cartoni animati su YouTube, in famiglia ci va ancora di lusso, però lo usa anche quando lui non se n’accorge).

Secondo, ma ce lo ricordiamo, noi, com’eravamo quando eravamo ragazzini? Scapestrati, disubbidienti, fieramente ribelli. Facevamo l’esatto opposto di quello che ci veniva imposto, anche l’indisciplina è una virtù e, soprattutto, è il fascino del proibito. La storia più vecchia del mondo (domandare ad Adamo ed Eva): possono esserci mille opportunità, duemila attrazioni e tremila tendenze, ma se in quel calderone ne esiste una, mezza, un quarto, che ti viene precluso, stai sicuro che diventerà l’unica, la sola briciola, in grado di strapparti un minimo di interesse.

Terzo, la scusa della maturità vale fino a un certo punto. Sedici anni e un giorno sì, sedici anni meno un giorno no: e chi lo decide, per chi, in relazione a chi? È l’eterno ritorno delle politiche dei veti, non sono mai veramente efficaci. Perché non dovrebbero esserlo per i teenagers del nuovo millennio? Quando soffia il vento forte e sei in mezzo alla bufera, mica ti salvi fermando le raffiche con le mani. Saresti un folle solo a pensarci. Semmai è un gioco di previdenza: fai informazione, sensibilizzi, ti costruisci un riparo quando il tempo è clemente. Una regolamentazione è diversa: può darsi, può addirittura funzionare. Ma il divieto secco, giammai, non-più, da-adesso-basta, no. Rischia di diventare carta straccia anche se arriva in versione telematica e con una notifica che trilla sullo smartphone. Rischia d’essere controproducente.

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