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Unione Europea umiliata dall'Africa: meglio schiavi dei cinesi che il vostro piano di aiuti

Carlo Nicolato
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Meglio schiavi della Cina che aiutati dall'Europa, meglio i prestiti usurai ma certi di Pechino che i soldi vincolati al green di Bruxelles. L'Africa ha le idee chiare a riguardo, la Ue da quelle parti non è la benvenuta, gli ex Stati colonizzatori tantomeno. Mentre la Cina che sta devastando il continente ricattandone i governanti è ancora la benvenuta: in fondo porta denaro, non solo ipocrite promesse e parole d'ordine per salvare il pianeta e i diritti umani. Sono passate solo poche settimane da quando l'Unione Europea ha annunciato il suo programma da 300 miliardi di euro (340 miliardi di dollari) chiamato Global Gateway che, secondo la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen, «creerà collegamenti, non dipendenze» con i Paesi poveri, e offrirà una «vera alternativa» al programma infrastrutturale globale della Cina, accusata appunto di aver strozzato con enormi debiti una serie di Paesi. A prima vista un'occasione ghiotta per i Paesi africani, tantopiù che secondo i dati dell'African Development Bank il continente nero potrebbe trarne certamente vantaggio, avendo esigenze infrastrurali stimate tra i 130 e i 170 miliardi di dollari l'anno ma con un deficit di finanziamento tra i 68 e i 108 miliardi di dollari.

 

 

Il problema è che nel continente nero non la pensano esattamente così. C'è già per esempio un sondaggio di Afrobarometer risalente allo scorso anno che rivela che il 59% degli africani pensa che l'influenza della Cina sia perlopiù positiva, mentre solo il 46% pensa lo stesso degli ex Stati coloniali, cioè praticamente mezza Europa più la Gran Bretagna. Ma soprattutto ci sono esperti politici locali, come il nigeriano Ovigwe Eguegu del Development Reimagined, che nutrono seri dubbi sul successo dell'iniziativa di Bruxelles. Al sito Climate Home News Eguegu ha detto che la Ue è arrivata in ritardo, che con il Global Gateway in pratica ha ammesso che la Cina in Africa ha già fatto molta strada. Eguegu sostiene che «chi ascolta e comprende il contesto in cui operano i Paesi africani sarà il miglior partner per lo sviluppo» e l'Europa «è quella che non ascolta», che arriva senza sapere, senza interessarsi prima. «Non c'è stata alcuna consultazione preliminare con i partner africani, zero. Non puoi aspettarti alcun entusiasmo perché c'è solo l'ignoranza di cosa significheranno queste promesse e di come si tradurranno sul campo» ha aggiunto.

 

 

I cinesi invece quel campo lo conoscono bene perché lo stanno sfruttando almeno da un decennio, facendo soprattutto i propri interessi ma dando di rimando un forte input alle infrastrutture locali. Prima del Forum di Dakar sulla cooperazione Cina-Africa di novembre gli emissari cinesi hanno tenuto diversi incontri coni partner africani e allo stesso Forum il presidente Xi Jinping ha promesso finanziamenti al continente per almeno 40 miliardi di dollari. Che per la verità è meno di quanto era stato promesso allo stesso Forum nel 2018, ma stavolta Pechino promette progetti qualitativamente migliori. Anche l'Europa parla ovviamente di qualità e la Von der Leyen, sottolineando le differenze con la Cina ha anche detto che la Ue vuole adottare un approccio diverso. «Vogliamo dimostrare» ha detto «che un approccio democratico e basato sul valore può far fronte alle sfide più urgenti». Non è chiaro come questo "approccio" si tradurrà sul campo. Ma ciò che per la Ue è buon governo e valore, non è certo lo sia anche per gli africani. Per molte nazioni anzi è burocrazia onerosa, intralcio.

Gli Stati africani ad esempio si lamentano della "carbon border tax" introdotta dall'Ue che rischia di rivelarsi molto più onerosa per loro di quanto non lo sia già per gli europei. E l'Unione africana, sostiene Faten Aggad, ex consigliere dell'Alto rappresentante dell'Unione africana per i negoziati Africa-UE, non è nemmeno stata coinvolta nella discussione. Aggad, che è algerino, è molto critico anche riguardo ai piani Ue per il Nord Africa, al quale sono destinati 1,08 miliardi di euro per sostenere il lancio di energie rinnovabili, l'efficienza energetica e l'inverdimento delle catene. Cifra insufficiente, sostiene, e legata a vincoli poco chiari: «Il finanziamento della Cina avviene attraverso prestiti, ma almeno è sul tavolo», dice, sono soldi veri, non parole all'aria. «Per come stanno le cose, la Cina rimarrà sicuramente un partner molto più attraente». Meglio quindi i soldi sporchi della Cina delle promesse pulite di Bruxelles.

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