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La Ue continua il suo allargamento, ma il popolo non può metterci bocca

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Gianluigi Paragone
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«Il via libera del Consiglio eu- ropeo ai negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue aiuta a guardare oltre, ma da qui a immaginare un vero ruolo dell’Europa ce ne corre. Certo se questo non ci sarà creeremo un buco nero di dimensioni epocali». Si esprimeva così il patron di Limes Lucio Caracciolo, ieri l’altro sulla Stampa.

«Tra la realtà e il modo in cui la percepiamo, c’è un abisso che cerchiamo faticosamente di colmare». Di queste tematiche avevamo discusso a Metropolis, la trasmissione condotta da Gerardo Greco su RepubblicaTv col direttore Maurizio Molinari (molto interessante il suo libro sul Mediterraneo e sul ruolo che il “mare nostro” occupa negli scenari geopolitici più caldi) e con lo stesso Caracciolo. Con loro discutevamo di allargamento dell’Europa sia a est che nell’area balcanica, un’area fuori dal radar della Commissione.

PUNTI DI VISTA
Ovviamente i punti di vista erano diversi: io assolutamente convinto dell’inutilità dell’Europa, anzi del suo totale bluff; Maurizio Molinari inflessibile europeista e in mezzo Lucio Caracciolo, le cui critiche all’architettura sono severe ma non favorevoli ad alcuna uscita. Le mie critiche più profonde restavano sulla marginalità dell’Unione rispetto alle grandi sfide di un mondo in riorganizzazione d’assetti: nessuno si preoccupa di sapere il ruolo dell’Europa, piuttosto di sapere come intendono muoversi l’America, la Cina, la Russia e quanto queste forze siano calamitiche rispetto a Paesi emergenti. Ma anche sulla sclerosi burocratica e sull’enorme peso, direi schiacciante, della finanza a scapito di ciò che chiamiamo “politica”.
Finanche la recente mossa di Macron sul possibile ruolo di Mario Draghi come futuro leader della Commissione (c’è chi invece parla del Consiglio d’Europa) è un’evidente sottolineatura della vera anima dell’Unione, di ciò che conta perla sua progressiva edificazione, tra patti di stabilità, Mes e altre diavolerie neoliberiste.

Al termine del dibattito ho posto a tutti una questione che credo rappresenti l’elefante nella stanza, ciò di cui in Europa è meglio non parlare: ma ai cittadini verrà mai chiesto se vogliono stare in Europa? Se la considerano un progetto vitale o un esercizio di potere elitario? Una cosa ben diversa dal tiepido passaggio per il rinnovo dell’Europarlamento, il più debole degli organismi Ue sebbene l’unico che coinvolga il popolo; no, quello che pongo come tema politico è un referendum confermativo se stare in Europa oppure no. Sul modello britannico che, con una affluenza record di partecipazione, a sorpresa vide la vittoria del Leave sul Remain, quindi il sancirsi della Brexit. Oppure sul modello che permise ai francesi e agli olandesi di esprimersi sui trattati “costituitivi”: era il 2005 e per gli europeisti fu una débâcle. Da allora l’istituto del referendum è stato usato con le pinze per paura che la democrazia disturbasse il manovratore. Anzi, quel “pilota automatico” di cui ebbe a dire Draghi (allora alla Bce) sulle riforme necessarie. Domando: non sarebbe ora di ammettere che nessuna Europa sarà mai degli europei fintanto che il popolo non potrà esprimersi direttamente?

GIOCHI DI POTERE
Finora parlano solo le cancellerie, i banchieri, i poteri che contano. I cittadini qua e là premiano forze eurocritiche o euroscettiche, e magari quel tratto potrà emergere anche dalle elezioni europee del prossimo giugno, ma poi la compilazione della Commissione europea sarà un sottile gioco dove gli interessi della gente escono di scena. Ecco perché diventa fondamentale porre la questione circa come si voglia cementare l’Europa. A botte di allargamenti, di finanziamenti concessi in cambio di cessioni di sovranità e di pseudo-commissariamenti? O di politiche migratorie da accettare in nome dell’emergenza mista a ipocrita solidarietà? Fateci capire...

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