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Tre idee per l'Europa: difesa comune, fine dell'unanimità e stop al green deal

Giordano Bruno Guerri
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Non mi pento affatto di essere stato – negli anni Novanta - uno dei primi, e rarissimi, antieuropeisti. Insieme a Ida Magli vedevamo nell’Ue il discutibile sforzo di unire i popoli attraverso l’economia, piuttosto che attraverso la cultura, in tempi troppo accelerati e con poco rispetto per le diversità storiche e antropologiche di tanti, troppi, Stati. Penso ancora tutto questo, guardando indietro, ma mentre trent’anni fa credevo si dovesse lottare per sciogliere l’Unione Europea, oggi sono convinto che non sia più possibile, tanti e tali sono i legami comunitari ormai realizzati, e che anzi occorra rafforzarla. Con giudizio, prudenza e determinazione.

Si è costituito, da allora un nuovo scontro fra blocchi contrapposti – Usa, Cina, Russia – addirittura con una guerra ai nostri confini. Le democrazie sono in crisi, apparentemente e anche nella sostanza sempre più deboli rispetto a forme di gestione autoritaria, se non dittatoriale, del potere. L’allarme per la crisi energetica e climatica ha assunto proporzioni spaventose, più della stessa crisi energetica e climatica. Ieri Antonio Tajani, in un’intervista sul Corriere, ha risposto in dieci righe a queste paure più che legittime, definendo i suoi programmi: «In grande sintesi: difesa ed esercito comune della Ue; elezione diretta di un’unica figura istituzionale che guidi l’Unione; fine del vincolo delle decisioni prese all’unanimità dai 27 governi; revisione del Green Deal con più attenzione per l’agricoltura e l’industria».

C’è tutto. Di fronte all’aggressione russa, per ora all’Ucraina, poi all’Europa, l’urgenza è quella di darsi una difesa comune, razionalizzando le spese, unificando il comando e preparando una strategia che non debba essere dibattuta ogni giorno in tutte le sedi. Anche per questo motivo è indispensabile abbandonare la formula per cui basta l’opposizione di un solo Paese su 27 per bloccare qualsiasi iniziativa: questa non è democrazia, in democrazia è la maggioranza che decide, non l’unanimità; dare a un solo membro, per quanto piccolo, il potere di veto è una forma maldestra di anarchia. Infine la transizione verde (perché mai dobbiamo dire “green”?) è una risposta irrazionale, perché troppo veloce, all’emotività popolare e al fanatismo. Come dice, Tajani, con parole più misurate, occorre «una terza via tra il negazionismo climatico e l’ecologismo estremista».

Il buon senso delle sue tre proposte, avanzate in poche e semplici parole, fa ben sperare per la campagna elettorale, che non diventi come al solito una manifestazione di buoni sentimenti esibiti, più che reali. E che si smetta di discutere su candidature e possibili alleanze, badando piuttosto a formare un centrodestra italiano unito su quei tre progetti, l’unico modo che ha per contare in Europa

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