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Von der Leyen, Alberto Clò: "Il bis una iattura per l'economia europea"

Michele Zaccardi
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«La rielezione di Ursula von der Leyen è una iattura per l’economia europea. Il premier Giorgia Meloni ha fatto bene a non sostenerla». Alberto Clò, direttore della rivista Energia, promuove la decisione di Fratelli d’Italia di non votare il bis della presidente della Commissione Ue. Secondo l’ex ministro del governo Dini, Bruxelles «proseguirà a insistere sulle politiche green, accrescendo l’asticella degli obiettivi senza tenere conto della scarsa capacità di raggiungerli dimostrata in passato».

Nel suo discorso al Parlamento Ue, von der Leyen ha dichiarato di voler «mantenere la rotta» sul Green Deal e ha annunciato un nuovo target da inserire nella legge europea sul clima: un taglio delle emissioni del 90% entro il 2040. Quanto sono realistici questi obiettivi, professore?
«La riduzione delle emissioni del 90% è pura follia. Di fronte all’incapacità di conseguire certi obiettivi, si è innalzata ancora di più l’asticella e si è allungato l’orizzonte temporale. Ma sono solo obiettivi nominali. Anche perché nel 2040 nessuno potrà essere chiamato a rispondere degli errori fatti. In teoria, le decisioni politiche dovrebbero essere prese sulla base di una valutazione attenta della fattibilità e degli effetti. Invece si fanno scelte dettate in gran parte da motivi ideologici. Temo che in futuro le cose non potranno che peggiorare. Si potrebbe dire che oggi i nodi vengono a pettine: ogni azione indurrà dei costi addizionali che ricadranno sulle classi sociali meno abbienti. Insomma, il problema non è tanto di carattere tecnologico o istituzionale ma sociale».

 

 

 

È un approccio ideologico quello della Commissione?
«Quelli fissati sono obiettivi campati per aria. A Bruxelles sarebbero intellettualmente onesti se dicessero chiaramente quali sono i costi che i consumatori dovranno sostenere. La Commissione è stata una dei maggiori responsabili nell’aggravare la situazione attuale. Ci sono due presupposti che non vengono rispettati quando si fissano gli obiettivi climatici e quindi le conseguenti politiche. Il primo riguarda la fattibilità fisica di questi obiettivi, ovvero la capacità di conseguirli: per esempio, si è in grado entro una certa data di ristrutturare gli immobili, migliorandone l’efficienza energetica come prescrive la direttiva sulle Case Green? Qual è il costo? E se le famiglie non possono sostenerlo?».

Qual è il secondo presupposto tradito?
«L’altro presupposto non rispettato è relativo al fatto che le politiche vengono decise al buio. Non si ha alcuna cognizione, alcuna contezza degli effetti macroeconomici che queste politiche producono. Qual è l’effetto sul deficit pubblico? Quali sono le conseguenze sull’inflazione e sulla produttività dei fattori? Vedo che sotto il cielo c’è una grande confusione e temo che la nomina di von der Leyen alimenterà questa confusione e la contrarietà alle politiche green».
Le misure adottate negli ultimi anni dalla Commissione per ridurre le emissioni sono inefficaci? «Come si misura l’efficacia di una politica? Lo si fa in termini ideologici o più razionalmente la si giudica dalla capacità di conseguire gli obiettivi per cui è stata impostata? Gli obiettivi delle politiche climatiche si dovrebbero misurare sulla capacità di ridurre le emissioni globali non regionali. Anche perché l’Europa conta per il 6-7% delle emissioni globali. Anche se riuscisse a ridurle ulteriormente, l’effetto sarebbe marginale. C’è poi un altro aspetto da considerare».

Quale?
«In questi anni i Paesi più poveri sono cresciuti parecchio, fatto che è auspicabile. Ma la crescita economica richiede per definizione più energia, che viene prodotta dalle fonti fossili, che sono quelle che producono maggiori emissioni. Non è possibile, e chi lo dice è intellettualmente disonesto, soddisfare questa maggiore domanda di energia solo con le fonti rinnovabili. Anche perché le rinnovabili sono fonti additive, ovvero si sommano a quelle fossili. Fino a quando non saranno in grado di sostituirle non avremo la riduzione delle emissioni».

E quindi?
«La conclusione è che bisognerebbe prendere atto che le politiche fin qui seguite sono state inefficaci: e cioè incapaci di perseguire l’obiettivo per cui sono state disegnate e implementate. E questo nonostante il fatto che negli ultimi anni si siano investite montagne di denaro. Nel 2023 sono stati spesi 2mila miliardi di dollari negli investimenti green. Ma la maggior parte di questi investimenti è stata realizzata nei Paesi avanzati, dove il limone, per così dire, è già stato spremuto».

Cosa si dovrebbe fare?
«Dal momento che la maggior parte delle emissioni viene prodotta nei Paesi poveri, bisognerebbe investire di più in quei Paesi. Anche perché un euro o un dollaro speso nei Paesi poveri induce un calo delle emissioni molto maggiore che in quelli avanzati. In altre parole, la produttività degli investimenti è molto superiore nelle economie più arretrate. Bisogna poi prendere atto le politiche climatiche sono inefficaci ed estremamente costose. Inoltre, il Green Deal, che doveva rafforzare la competitività dell’economia europea, su questo fronte ha fallito: la competitività rispetto agli Usa e alla Cina è peggiorata».

 

 

 

Come fare per ridurre le emissioni senza strangolare l’economia?
«Penso che le politiche debbano essere molto più graduali, razionali e pragmatiche. Quindi non dettate dall’ideologia. Inoltre non è vero che le fonti rinnovabili sono più competitive: richiedono ancora ingenti incentivi e sussidi. E questi gravano sulle famiglie. Fino ad oggi in Italia, come ha evidenziato Arera (l’autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, ndr), sono stati spesi 170 miliardi di euro per sovvenzionare le rinnovabili. E dal 2005 a oggi sono stati investiti nel mondo 6mila miliardi di dollari. Eppure le rinnovabili non contano ancora niente. Vogliamo proseguire in questa follia? Continuiamo, ma non lamentiamoci se l’economia non cresce, se la produttività è bassa se le imprese faticano a esportare». 

 

 

 

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