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Ue, l'eurosoviet vuole imbavagliare Elon Musk

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Giovanni Sallusti
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C’è questa grottesca guerra del Soviet europeo a Elon Musk che da sottotema agostano è diventata una vera e propria ossessione. Per la precisione, al momento pare una guerra condotta dalla frazione francese del Politburo con sede a Bruxelles, e già questo è significativo (Ursula von der Leyen è già stata costretta a dissociarsi, probabilmente conscia dell’abisso tra fatturati multimiliardari e grandeur immaginarie). In principio fu Thierry Breton, Commissario Europeo per il Mercato Interno.

Il che è già un bel controsenso: nessun libero mercato autentico ha bisogno di Commissari, che piuttosto prosperano là dove ci sono piani quinquennali ed economie a guinzaglio dello Stato/Partito. In ogni caso, alla lettera con cui Breton gli intimava di fare attenzione nei contenuti della sua intervista a Trump, pena la pseudominaccia di «azioni contro X», Musk aveva risposto con una pernacchia, per dirla eufemisticamente. Dopodiché aveva diffuso tranquillamente la conversazione con The Donald, compulsata da milioni di europei, con la ciliegina della presa di distanza di Ursula dal suo commissario.

 

 

Ieri è stata la volta di un altro esponente di spicco della lobby francofona: Sandro Gozi. Incidentalmente nato a Sondano al Rubicone (provincia di Forlì-Cesena), in passato sottosegretario agli Affari Europei (o Parigini?) nei governi Renzi e Gentiloni, dal 2020 europarlamentare eletto in Francia nelle liste macroniane e segretario del Partito Democratico Europeo, che fa parte del raggruppamento dei “liberali” di Renew Europe. Ed ecco lo spunto di purissimo liberalismo, offerto in esclusiva a Repubblica: «Se Elon Musk non si adegua alle regole europee sui servizi digitali, la Commissione chiederà agli operatori continentali di bloccare X o, nel caso più estremo, imporrà di smantellare totalmente la piattaforma nel territorio dell’Unione».

Deve aver letto una versione alternativa di “On Liberty” di John Stuart Mill, il “liberale” macronian-romagnolo, presumibilmente intitolata “On Censorship”. Boutade a parte, il grimaldello è lo stesso sventolato (comicamente) da Breton: il Digital Services Act. Trattasi di un regolamento dell’Unione Europea che avrebbe lo scopo di migliorare la moderazione dei contenuti sulle piattaforme social, con particolare attenzione a quelli “illegali”.

Nella neolingua dell’Euroburocrazia significa anche, e soprattutto, quelli che inciterebbero alla discriminazione, al razzismo, all’odio... E chi lo stabilisce, dove si riscontra tale incitamento? Ma l’Euroburocrazia medesima, ovviamente, di modo che la tradizione effettiva di “illegale” diventa: sgradito a Gozi, Breton e i loro amici. E lo teorizza espressamente, il liberale della rive gauche: «L’Europa non vuole impedire alle aziende digitali di ospitare post - com’è umano lei, Monsieur Gozì, ndr - ma vogliamo bloccare la viralità dei contenuti considerati estremisti».

Ad esempio l’intervista di uno dei più grandi imprenditori del mondo a un ex presidente degli Stati Uniti di nuovo in corsa per la Casa Bianca: voilà un caso da manuale di “estremismo”, ovvero di idee estremamente diverse da quelle considerate accettabili nelle stanz(ett)e di Bruxelles. Del resto, e qui Gozi inizia a gonfiare i muscoli, garantendoci quantomeno della sana ilarità, Musk se ne deve fare una ragione: «Non siamo più al Far West digitale, l’Europa è il primo continente ad avere regolato la materia, mentre gli Usa sono indietro».

Certamente, indietro nella sovietizzazione dell’agorà digitale: «In America c’è un vuoto normativo di cui Musk approfitta». Proprio così, la libertà vive spesso di “vuoti normativi”, di regioni della vita e della coscienza non normate, non regolamentate, non piegate a turbe dirigiste, come sa a memoria ogni liberale autentico, quindi nessun membro di Renew Europe. Sandrò Gozì, invece, sprizza entusiasmo per le varie possibilità liberticide offerte dal Digital Act: «Si possono applicare sanzioni periodiche fino al 5% del fatturato medio giornaliero mondiale per ogni giorno di ritardo nell’ottemperare alle misure correttive».

Formula para-orwelliana che nel caso di specie diventerebbe una follia al quadrato: se Musk, su un mezzo di sua proprietà, sostiene idee che non piacciono a Gozi, Breton e Commissari affini, deve versare loro dei soldi. Non solo: «Nei casi più gravi» - e qui il fremito censorio dell’intervistato raggiunge l’acme - «si può arrivare sino alla chiusura della piattaforma stessa e in ogni caso alla richiesta agli operatori di Telecom di bloccare l’accesso al sito».

Finalmente, si staglia sullo sfondo il modello aureo di questi particolari liberali continentali: non la Scuola di Chicago (roba buona per vecchi reazionari, magari rivenditori di Tesla usate), bensì, con scelta molto più aggiornata e à la page, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese. Nella terra delle magnifiche sorti e progressive garantite dal compagno Xi, i social network sono sotto strettissimo controllo governativo, certamente non ci sono “vuoti normativi”, eX ovviamente risulta tra quelli bloccati. L’idea di fondo che regge l’assalto eurocratico ad Elon Musk è, letteralmente, portare il Free Speech sul continente a livelli cinesi.

Ovvero uno scenario da tragedia, portato avanti da personaggi ossimorici come il Commissario al Mercato e l’italiano francofono, con la credibilità della farsa. Anche se riuscissero a rimuovere X dall’Europa cinesizzata (cosa comunque difficile, perché i popoli europei non vogliono ancora essere rieducati del tutto), X continuerebbe a esistere, Musk continuerebbe a dire quel che pensa, con potenza di fuoco anche finanziaria sostanzialmente immutata, e il Vecchissimo Continente sarebbe ulteriormente scivolato alla periferia dell’impero, anche social. Più che maoismo, è la tragedia di burocrati ridicoli.

 

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