Nella votazione di ieri a Strasburgo la posizione più delicata era senza dubbio quella di Fratelli d’Italia. Alla fine i meloniani hanno deciso di non partecipare al voto. Una scelta che ci racconta il capo delegazione Carlo Fidanza.
Onorevole da cosa nasce la decisione di non partecipare alla votazione?
«Perché noi, come Fratelli d’Italia, non abbiamo firmato questa mozione».
Nella vostra scelta ha pesato la presenza nella Commissione di Raffaele Fitto?
«Innanzitutto chiariamo che il documento non era solo contro Ursula von der Leyen, ma chiedeva le dimissioni dell’intera Commissione. Noi per Fitto abbiamo combattuto una battaglia molto importante e lui sta lavorando bene. Votargli la sfiducia sarebbe stato a dir poco assurdo».
A questo punto perché non votare contro?
«In quel caso sarebbe passato il messaggio che Fratelli d’Italia entrava a pieno titolo nella maggioranza Ursula. Ma non è così. Continuiamo a lavorare per maggioranze alternative».
La mozione è stata presentata da Ecr, gruppo del quale fate parte anche voi...
«In realtà quel documento l’ha firmato solo un terzo del gruppo dei Conservatori. È stato subito chiaro che era un tentativo velleitario, che non avrebbe mai raggiunto i due terzi del Parlamento e quindi non sarebbe mai passato. E come sempre succede in politica, se una sfiducia non passa finisce per rafforzare chi ne era il destinatario. Alla fine è stato un assist alle sinistre che stanno ricattando von der Leyen».
Dopo questo voto come ne esce l’attuale “maggioranza Ursula?
«Non certo rafforzata, ma non tanto per il voto di ieri, quanto per quello che sta accadendo ultimamente».
E cosa sta accadendo?
«Che sempre più spesso i provvedimenti passano con la cosiddetta “maggioranza Venezuela”, cioè con un accordo tra Ppe, Conservatori e Patrioti.
Anche in questi giorni, mentre tutti parlavano della mozione di sfiducia, l’accordo del centrodestra europeo ha bocciato provvedimenti ideologicamente pericolosi, come la procedura d’urgenza sul clima che fissava obiettivi stringentissimi per il 20240 o come le norme sulla deforestazione. Ma questi accordi funzionano anche per cose più politiche, come il voto di condanna sui crimini dei comunisti di Tito».
E la sinistra come reagisce a tutto questo?
«Sta vivendo una crisi di identità, di risultati e di leadership. Quei pochi governi che ancora hanno o sono in bilico come quello di Sanchez in Spagna, o si stanno smarcando, come quello della premier danese che l’altro giorno in aula, sull’immigrazione, ha pronunciato un discorso che sembrava scritto da Giorgia Meloni...».
Reggerà l’accordo Popolari-Socialisti?
«Sul piano politico questa maggioranza è al capolinea. È solo questione di tempo. Resiste solo per non far cadere l’argine che in molti Paesi è stato eretto contro le destre, ma non reggerà a lungo. Il Ppe, soprattutto, dovrà decidere se dare seguito al mandato ricevuto dagli elettori e chiuderla con le follie green o tradire chi l’ha votato».
La sinistra strepita: la maggioranza ha votato divisa in Europa. Roba vecchia, non trova?
«Anche perché il cosiddetto campo largo ha fatto la stessa cosa. La verità, è che appartenendo a tre famiglie europee diverse, l’azione del centrodestra si rafforza».
Ultima domanda. La spaccatura interna ad Ecr potrà avere conseguenze politiche?
«Assolutamente no. Tenga conto che da oggi e per tre giorni saremo tutti insieme a Napoli, con i ministri del governo Meloni, per il summit dal titolo “Il Mediterraneo sta plasmando il futuro dell'Europa?”. Il caso si è chiuso col voto di ieri».