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Ue, perché Ursula & Co. vogliono coprirci di tasse

di Sandro Iacometti domenica 13 luglio 2025

4' di lettura

La strategia del gambero. Mentre il Continente è impegnato a fronteggiare il ridisegno degli equilibri geopolitici e commerciali mondiali, con uno scacchiere globale in rapidissima evoluzione e minacce economiche e politiche che spuntano ad ogni angolo (l’ultima ieri con l’ennesimo rilancio di Donald Trump su dazi al 30% per la Ue), l’ideona di Bruxelles per uscire dall’angolo in cui è finita dopo decenni di scelte sbagliate è quella, udite udite, di nuove tasse su famiglie e imprese. Geniale. Già, perché non bastavano i balzelli verdi, la forsennata corsa all’elettrico che ha devastato l’automotive, i dazi interni quantificati dall’Fmi in tariffe del 44% sul commercio e del 110% sui servizi. No, non contenta di aver perso il 30% del Pil rispetto agli Usa nell’arco di una decina di anni, la Ue ha deciso di affrontare le nuove sfide con un’altra raffica di gabelle che sulla carta dovrebbe servire a finanziare le nuove esigenze di spesa, nella realtà oltre a creare un groviglio inestricabile e pericoloso sulla sovranità fiscale dei singoli Stati provocherà ulteriore perdita di competitività delle imprese, impoverimento delle famiglie e recrudescenza dell’inflazione. Un capolavoro.

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A grandi linee, secondo le bozze emerse negli ultimi giorni, Bruxelles si appresta ad imporre una tassa aggiuntiva a tutte le aziende che operano in Europa (anche con sede fuori) con un fatturato netto superiore ai 50 milioni, calcolato al netto di sussidi e imposte, un aumento consistente delle accise sul tabacco e sulla nicotina in tutte le sue forme (che sarà in parte versato alla Ue), un balzello sui rifiuti elettronici e un’imposta sui pacchi del commercio online che provengono da lunga distanza. Non solo, saranno aumentate anche le entrate da dazi doganali, sarà esteso il sistema di vendita di permessi da inquinare (Ets), sarà introdotta una tassa sulle importazioni ad alta intensità di carbonio e aumentata quella sui rifiuti di plastica non riciclati. Le uniche concessioni al buon senso per ora previste sono l’accantonamento della carbon tax sul riscaldamento domestico e sui trasporti stradali e della tassa sui servizi digitali, che gli Usa vedrebbero come una sorta di atto di guerra.

Un po’ poco per ridare tonicità ad una economia che annaspa e prende schiaffoni da ogni parte del mondo, da Est a Ovest. La buona notizia, e bisogna accontentarsi, è che la stangata non è immediata e neanche dietro l’angolo. L’idea è quella di inserire le nuove tasse nella parte dedicata alle “risorse proprie” del bilancio pluriennale 2028-2035 la cui discussione inizierà mercoledì prossimo.

Per molte delle misure previste, a partire da quelle sulle accise dei tabacchi, sarà necessaria l’unanimità degli Stati membri. Obiettivo che sembra assai difficile da raggiungere considerata la resistenza dei Paesi che contribuiscono maggiormente al bilancio, tra cui Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia e Danimarca e Italia. Ad accrescere la speranza che la manovra fiscale che si andrà a sovrapporre a quelle nazionali non riesca a trovare il sufficiente consenso c’è anche il fatto che l’intero dossier sarebbe stato discusso internamente in tempi lampo, con una consultazione durata appena 24 ore. Ai funzionari è stato chiesto di analizzare un documento di oltre 100 pagine con implicazioni rilevanti su settori chiave come salute pubblica, agricoltura, industria e finanze nazionali. Il tutto senza un coinvolgimento reale degli altri commissari, secondo quanto riferiscono fonti interne a Bruxelles. A rendere il percorso ancora più accidentato c’è anche il fatto che la Commissione non sembra intenzionata a recuperare risorse solo attraverso nuove tasse, ma anche con tagli alla spesa su terreni molto insidiosi.

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A partire dalla Politica agricola comune, che attualmente è una delle voci di bilancio più consistenti con circa 380 miliardi stanziati. Avvisaglie su cui il nostro ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha già drizzato le antenne, contestando l’idea di unificare le risorse in un fondo unico che comprenda anche la coesione e il sociale, e ricordando che se le risorse nel nuovo bilancio non saranno adeguate all’inflazione la Pac potrebbe perdere il 54% del suo valore reale entro il 2034.

Che abbia vita breve o no, la proposta di Bruxelles sulle risorse proprie che sarà illustrata il 16 è comunque il segno di un’Europa che non riesce a ritrovare la bussola. Mentre è in corso una battaglia esistenziale per il Vecchio continente, che imporrebbe di cambiare completamente direzione di marcia, esplorando territori finora considerati proibiti come quelli della deregolamentazione, dell’alleggerimento fiscale, di una riforma radicale della gabbia imposta dal patto di stabilità e di una maggiore libertà d’azione agli Stati membri, Bruxelles continua a seguire l’unica rotta che conosce e che ci sta portando alla rovina, tasse e regole.

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