Ci perdonerà Giovanni Pascoli se deturpiamo una delle sue liriche per dire che nelle consuete previsioni autunnali della Commissione europea c’è qualcosa di antico, anzi di nuovo. Da una parte la crescita che non decolla, antico tormentone che, tranne il crollo e il successivo rimbalzo del Pil dovuto al Covid, accompagna il Paese da decenni costipandolo nei famosi zero virgola a cui forse abbiamo colpevolmente fatto tutti il callo.
Dall’altra, però, c’è una novità di rilievo che sarebbe altrettanto colpevole, oltre che profondamente ipocrita, non festeggiare. Oggi qualcuno vi spiegherà che il centrodestra ci sta portando rapidamente verso il baratro perché il Pil, secondo le ultime stime di Bruxelles (riviste al ribasso), crescerà solo dello 0,4% quest’anno per poi risalire allo 0,8% nei due anni successivi. Un ritmo di marcia che ci porta nelle ultime posizioni della Ue, seppure con uno scarto non così ampio. Ma l’antico, per quante palate di propaganda si possano gettare sui dati, non può davvero oscurare il nuovo. Anche perché negli ultimi 20 anni la fragilità, il disallineamento e l’irregolarità dei nostri bilanci pubblici sono stati il principale argomento di dibattito e il fattore più determinante della proverbiale instabilità politica, con governi fatti fuori a raffica perché i conti a Bruxelles non tornavano.
Ecco, dopo decenni di bacchettate, strigliate, procedure d’infrazione, squilibri macroeconomici eccessivi, violazioni della regola del debito, sforamenti del patto di stabilità e qualsiasi diavoleria possibile escogitata dagli euroburocrati per imbrigliare le economie degli stati membri, per una volta l’Italia è arrivata all’appuntamento con le temutissime previsioni della Commissione senza il cappello d’asino sulla testa.
Per carità, il superfalco Valdis Dombrovskis, severissimo commissario Ue all’Economia che per anni, anche quando al suo fianco si è infilato il nostro Paolo Gentiloni, ha continuato ad impartire lezioni sulla sana gestione dei conti pubblici per fare in modo che fossero allineati all’ortodossia Ue, ha fatto di tutto per ridimensionare l’evento dell’Italia finalmente in regola. «Perché la Commissione possa abrogare la procedura d’infrazione», ha spiegato, «è necessario vedere i dati effettivi del 2025 così come verificati da Eurostat. Questi dati saranno disponibili in aprile e un'eventuale abrogazione, se il disavanzo sarà confermato al di sotto del 3% del Pil, potrà avvenire nel pacchetto primaverile del Semestre europeo». Mille “se” per non ammettere esplicitamente quello che è di fatto certificato dalle cifre snocciolate nel rapporto diffuso ieri.
Un documento in cui Bruxelles ha addirittura migliorato le stime fatte in precedenza. In quelle di maggio si prevedeva un deficit di bilancio al 3,3% del Pil quest'anno e al 2,9% il prossimo. In quelle pubblicate ieri gli indici sono stati rivisti al 3% del Pil già nel 2025, con cali ulteriori al 2,8% nel 2026 e al 2,6% del 2027.
Il che significa, numeri alla mano, che il nostro Paese quasi sicuramente uscira dalla procedura di deficit eccessivo la prossima primavera, con un anno di anticipo rispetto al percorso concordato tra il governo e Bruxelles. Per quanto ancora elevatissimo, anche sul debito pubblico le stime della Commissione registrano un miglioramento. Ora l’Ue prevede che salga al 136,4% del Pil quest'anno, dal 134,9% del 2024, e poi al 137,9% nel 2026, per poi limarsi al 137,2% nel 2027. Lo scorso maggio la Commissione prevedeva un rapporto debito/Pil 2025 al 136,7% e sul 2026 al 138,2%.
Ma non è tutto, perché la commissione certifica anche il sostanziale equilibrio della manovra tra spese e coperture. Si segnala, si legge nel documento, come le entrate fiscali siano «destinate ad aumentare, poiché l'aumento delle imposte per le società finanziarie e assicurative, la chiusura anticipata della tassa differenziale benzina-gasolio e le misure per migliorare la riscossione delle imposte compenseranno ampiamente il taglio del cuneo fiscale sul lavoro per i redditi medi, l'introduzione di una tassazione fissa più bassa sui rinnovi contrattuali, sui premi di produttività e sugli straordinari e l'introduzione di una procedura semplificata di risoluzione del debito per la riscossione delle imposte».
Anche quella sul pil, in fondo, non è la doccia gelata a cui ci eravamo abituati in passato. La stima «nel complesso non si discosta dalla valutazione dell'Italia, che prevede una crescita dello 0,5% quest'anno e dello 0,7% l'anno prossimo», Dombrovskis. Quanto ai nostri competitor del Vecchio Continente, la crescita acquisita ha superato le previsioni secondo la Commissione europea, che stima per l'intero anno un Pil in aumento dell'1,3% nell'area euro (meglio dello 0,9% stimato in precedenza) e dell'1,4% nell'Ue (dall'1,1%), grazie all'andamento di consumi, investimenti e al calo dei prezzi dell'energia. Rivede al ribasso però le attese di crescita l'anno prossimo nell'Eurozona e nell'Ue (1,2% dall'1,4% nell'area dell'euro, e all'1,4% dall'1,5% nell'Ue), con un ulteriore piccolo miglioramento nel 2027.




