In teoria non fa una piega. Nel Torinese c' era una tizia che simpatizzava per i No Tav (sfoggiava pure una maglietta) ed è stata intravista mentre si intratteneva con degli anarco-insurrezionalisti recentemente arrestati, gente che compare in fotografia sul suo profilo Facebook: beh, niente di strano se le è stato inibito l' ingresso in carcere (dove lavorava) per motivi di sicurezza. È un carcere, mica una birreria: e infatti è andata così. Peccato che, in pratica, sia una follia degna di questo Paese impazzito. Non tanto per baggianate sulla libertà di espressione: entrare in un carcere con quella maglietta, tra poliziotti e secondini, significa essere sciroccata o perlomeno una provocatrice. Il punto non è neanche che lei, capita l' antifona, ha subito smesso d' indossare la maglietta: sicché, prima di toglierle il lavoro, si poteva essere un po' più elastici. È una follia per altre ragioni. In primis perché il titolo che passerà l' avete già capito: «Ha la maglietta No Tav, la licenziano». In secundis, perché la morale della storia - per tutti - sarà un' altra ancora: che i fighetti alla Erri De Luca possono sostenere che «la Tav va sabotata» e uscirne pure da martiri, anzi, col libricino che rende soldini; mentre un' educatrice a contratto, per quanto incauta, diventa l' uccellino a cui lo Stato spara col bazooka. E questo nell' irrilevanza di una mobilitazione web che durerà 20 minuti mentre «scrittori, intellettuali e cineasti» si faranno i cazzi loro. Filippo Facci @FilippoFacci1
