Nicola Rizzoli, nonostante tutto, è tranquillo. Almeno apparentemente. A lui, personaggio schivo e riservato, non piace finire sulle prime pagine dei giornali, per di più in occasioni come quella del caso Sansone e del rigore sì, rigore no di Sassuolo-Roma. All’indomani di quella sfida di campionato, ha incassato il sostegno dei vertici dell’Aia (l’associazione nazionale arbitri italiani). Nessun commento ufficiale, ma è trapelato che i «capi delle giacchette nere» abbiano apprezzato il comportamento del loro iscritto: «In Italia sempre polemiche, anche quando la decisione è giusta. Ma la domanda è: si preferiscono le cose fatte bene oppure no?». Insomma Rizzoli ci avrà pure messo un po’ di tempo a decidere (quattro minuti e trentasei secondi per la precisione), ma alla fine ha fatto la cosa giusta. Verrebbe da dire: meglio tardi che mai. Ma comunque un filo logico, cosa che spesso nelle decisioni del «governo degli arbitri» non si trovano, c’è. Tra l’altro il comportamento del direttore di gara è stato «monitorato», in diretta, anche dal designatore Stefano Braschi, domenica pomeriggio presente in tribuna al Mapei Stadium. Nessun commento da quest’ultimo, ma un sostanziale beneplacito per l’architetto iscritto alla sezione arbitridi Bologna. Ecco perché Rizzoli è tranquillo: ha l’appoggio dei vertici. È pronto per tornare in campo nel finale di campionato di serie A e si prepara a rappresentare l’Italia, al prossimo mondiale di calcio in Brasile. All’estero lo apprezzano molto: in una classifica specializzata è ritenuto il secondo miglior arbitro del mondo. L’anno scorso ha arbitrato la finale di Champions league tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Insomma è un pezzo da 90. Ma non è tutto oro quel che luccica. Il suo atteggiamento di domenica, apprezzato dai «superiori» italiani, invece non sembra sia piaciuto a Fifa e Uefa (federcalcio internazionale e federazione europea). La loro controreplica è semplice: è se Rizzoli adottasse lo stesso atteggiamento, per esempio, in una semifinale del prossimo Mondiale? Che cosa succederebbe? Il troppo tempo per decidere, la sconfessione del suo assistente («a me sembra rigore», pare abbia detto l’arbitro di porta Peruzzo) e, infine, il rivolgersi al giocatore per chiedere delucidazioni, potrebbero creare caos e tensione in una manifestazione (il campionato del mondo) che non ne ha proprio bisogno. Il tasto dolente, infatti, sono proprio i tanti minuti utilizzati per arrivare ad una decisione. Anche perché Rizzoli non è esente da errori. Ne ha costellati tanti, ma questi non sono serviti a tarpargli le ali per una carriera che, molti suoi colleghi, gli invidiano. E allora, paradossalmente, salta all’occhio che la volta che non ha sbagliato (non c’era il rigore per il Sassuolo contro la Roma) viene criticato all’estero e crocifisso in patria, nonostante l’appoggio dei vertici arbitrali nostrani. Che nulla hanno fatto, o che nulla hanno segnalato ai colleghi esteri, delle macroscopiche decisioni errate, prese dal miglior fischietto italiano. Come, per esempio, l’errore fatto nell’ultimo derby di Torino (l’aggancio non visto di Pirlo a El Kaddouri). O come quando, da arbitro di porta nella Supercoppa 2012 tra Juve e Napoli, consiglia al collega Mazzoleni (che non si era accorto del presunto fallo) il rigore che indirizza il trofeo ai bianconeri e fa infuriare De Laurentiis. O le tante polemiche a Catania, nell’ottobre 2012, quando suggerisce a Gervasoni di annullare un gol a Bergessio (segnato alla Juve) per un fuorigioco che non c’è. O il suo comportamento, nell’aprile 2008, quando incassa, senza battere ciglio, gli insulti ripetuti di Totti in un’Udinese-Roma. Un episodio che dimostra la sua scarsa personalità in campo. Che comunque non lo ha frenato nella sua fulgida carriera. di Giampiero De Chiara
