Infarto. Una nuova terapiapiù efficacia e meno rischi

Intervista con il professor Alberto Margonato, primario di cardiologia del San Raffaele di Milano sulle novità per i pazienti che hanno una sindrome coronarica acuta
di Maria Rita Montebellidomenica 12 gennaio 2014
Infarto. Una nuova terapiapiù efficacia e meno rischi
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L’occasione per fare il punto sulle novità per i pazienti che hanno una sindrome coronarica acuta è stata una tavola rotonda al Congresso della Società Italiana di Chirurgia recentemente tenutosi a Roma: “parliamo di quei pazienti  che arrivano al pronto soccorso con dolore toracico  ma che non hanno una diagnosi elettrografica di infarto classico – spiega il professor Alberto Margonato,  primario di cardiologia dell'Ospedale San Raffaele di Milano e moderatore dell’evento – che non richiede immediatamente la coronarografia ma si può cercare di definire un poco meglio il quadro clinico  prima di  fare la coronarografia ed eventualmente l’angioplastica o il by-pass”. E cosa si faceva fino ad  oggi? Il farmaco che veniva utilizzato per fluidificare il sangue di questi pazienti ed evitare le trombosi – essenziale in questo tipo di patologie coronariche e in questi infarti che noi chiamiamo tecnicamente ‘non ST sopra’ – era l’aspirina associata al clopidogrel, un farmaco che si è usato per moltissimi anni e che ha rivoluzionato il campo dell’angioplastica e che ci ha consentito di mettere gli stent coronarici, le protesi che tengono aperta la ‘luce’ dei vasi. Si tratta, tuttavia, di un farmaco che non è esente da difetti, perché circa un 20 per cento dei soggetti è resistente al clopidogrel, non ‘sentendo’ gli effetti benefici del trattamento: il sangue non si fluidifica abbastanza e, nel caso si sia posizionato uno stent coronarico, può fare trombosi e chiudersi l’arteria e quindi avere una ricaduta anche più grave dell’infarto avuto in precedenza.  Oggi, però, ci sono nuovi farmaci Nell’ultimo anno sono entrati nell’uso clinico nuovi antipiastrinici, tipo il ticagrelor, con grossi vantaggi rispetto al clopidogrel: agisce più in fretta, termina più rapidamente la sua azione se per caso il malato deve essere avviato ad un intervento chirurgico e non deve avere il sangue  fluido troppo a lungo, e soprattutto non da resistenza, superando il problema di quel 20 per cento di pazienti che non possono utilizzarlo. Esiste uno studio molto importante – lo studio PLATO che ha paragonato in soggetti con infarto ‘non ST sopra’ la vecchia terapia con il ticagrelor, dimostrando che si ottiene un risultato clinico molto migliore in termini di sopravvivenza e di riduzione della trombosi e di eventi ricorrenti ischemici, senza pagare per questo un prezzo in termini di emorragie. Un passo avanti non da poco per i pazienti Non solo: anche altri farmaci rappresentano un progresso rispetto al clopidogrel, ma le linee guida internazionali – sia americane che europee – ritengono che il ticagrelor sia di più vasto utilizzo, il farmaco per tutte le situazioni di ischemia acuta: se ad esempio un paziente ha avuto un pregresso ictus lo si può dare lo stesso, dimostrandosi più sicuro ed efficace rispetto agli altri. Anche di fronte ad un paziente molto anziano, che pesa meno di 60 chili o che ha un’insufficienza renale. Insomma, anche alla tavola rotonda alla SIC è emerso che non ci sono tutti i giorni progressi importanti e significativi in campo medico, e il ticagrelor rappresenta in questo momento il farmaco ideale per la cura dei pazienti con sindrome coronarica acuta, sia che debbano fare un’angioplastica sia che debbano essere trattati semplicemente con terapia farmacologica. E se un paziente arriva al reparto di cardiologia dopo che il suo medico o un centro periferico lo ha trattato con il clopidogrel? Nessun problema: mentre gli altri farmaci non si possono somministrare, si può passare senza alcun rischio di sicurezza al ticagrelor, il farmaco comunque più efficace”.  (LARA LUCIANO)