Banche e industria, i settori sottovalutati su cui investire

Il lusso ha segnato delle ottime performance, ma ancora degli spazi per crescere. Gli istituti in ripresa
di Andrea Tempestinidomenica 21 luglio 2013
Banche e industria, i settori sottovalutati su cui investire
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Forse non ve ne siete accorti, ma chi avesse puntato 100 dollari sulla Borsa di New York nel marzo del 2009, nel momento più nero della crisi finanziaria esplosa con il default di Lehman Brothers,  oggi ne avrebbe poco più di 250 in tasca. Senza tener conto dei dividendi incassati negli ultimi cinque anni. Chi avesse scelto Francoforte, invece, si sarebbe dovuto “accontentare” di un rialzo nell’ordine del 135 per cento. Sia l’indice Standard & Poor’s a Wall Street che il Dax tedesco, comunque, hanno ritoccato in primavera il massimo assoluto.  Forse non ve ne siete accorti. Ma i risparmiatori italiani che hanno puntato nel 2013, anno turbolento per la politica e nefasto per la recessione sulle stelle, nell’indice Star di Piazza Affari, dedicato alle medie imprese, ha messo a segno al giro di boa di metà anno un rialzo di poco superiore al 16 per cento. Mica poco, soprattutto se si pensa che chi si è rivolto al listino maggiore, quello che annovera i 40 titoli a maggior capitalizzazione, deve registrare, in media, un ribasso superiore al 4%.  Questi esempi servono a sottolineare alcune caratteristiche del listino azionario: a) i mercati    guardano avanti ma fanno scarso uso dello specchietto retrovisore. Le Borse «sanno prevedere». b) Ma, se si guarda al diverso trend tra i vari indici della Borsa italiana emerge che i listini sanno anche “vedere”, al di là degli umori che emergono dalle statistiche o dall’opinione dominante. Come accade per il made in Italy: i grossi nomi, a partire dalle banche, zoppicano sotto il peso di una congiuntura difficile. Ma le gazzelle del made in Italy, capaci di cavalcare la domanda mondiale hanno già avviato la ripresa.  Queste considerazioni servono a spiegare perché: a) l’investimento in Borsa di lungo periodo va effettuato con metodo e, preferibilmente, con l’ausilio di consiglieri esperti; b)  l’investimento i Borsa incorpora sia l’attesa di un dividendo (il frutto del risparmio) che un certo rischio, a fronte del quale c’è la speranza di trarre un profitto rivendendo a prezzo più elevato un’azione comprata a meno (o, viceversa, a ricomprare a meno quel che si è già venduto).    Fatte queste premesse generali, la domanda più comune è:  ma mi conviene entrare in Borsa? Una risposta esauriente dovrebbe tener conto di tanti fattori: l’età (meglio le azioni per i più giovani, che intendono accumulare risparmi in un lungo arco di tempo, meglio le obbligazioni per i più anziani),  la propensione al rischio (e, soprattutto, la capacità psicologica di sopportare perdite), la congiuntura economica. In linea generale, si possono dare solo un paio di indicazioni di massima.  Innanzitutto, anche gli investitori più smaliziati e liquidi preferiscono operare attraverso fondi di investimento ed Etf (che altro non sono che fondi fotocopia, che replicano un paniere) piuttosto che andare alla ricerca del titolo giusto. Questo sia perché il meccanismo, in quanto a commissioni,  è meno costoso sia perché  viene così garantita, anche per cifre modeste,  la diversificazione dell’investimento, che è il requisito fondamentale per proteggere il risparmio.   Secondo, per gli esperti oggi è meglio privilegiare l’investimento in Borsa rispetto al mercato obbligazionario.  Per più motivi. Primo, perché l’economia americana sembra avviata ad una ripresa lenta ma solida. La situazione migliore, perché la Federal Reserve non procederà a stringere la leva dei tassi per evitare che la ripresa si afflosci. Ma, al tempo stesso, le corporations potranno migliorare senza strappi il proprio stato di salute. Nel frattempo, però, precipitano i prezzi dell’oro mentre salgono in rendimenti dei T bond, con gravi perdite per gli obbligazionisti.    In Europa, la situazione è diversa: Mario Draghi ha appena rassicurato i mercati che i tassi resteranno bassi per un «tempo ragionevolmente lungo». Ovvero, a giudicare da quel che è successo in Usa, un anno o anche più. È difficile pensare, però,  che i rendimenti delle obbligazioni o dei Btp possano  scendere ancora più di tanto rispetto ai rendimenti di mercato. Di qui la sensazione che i guadagni su Bot ed obbligazioni siano ormai alle spalle. Al contrario, parlando di Italia (o meglio, di Europa) il mercato azionario potrebbe scontare i vantaggi dell’uscita dalla recessione che si profila per la fine dell’anno. Insomma, la regola generale prevede che il buon investitore tipo debba dividere il portafoglio in cash (20-30% in conti correnti, depositi, investimenti a visto o liquidabili in meno di una settimana), obbligazioni (il 50% almeno in periodi normali) ed azioni (un 20% circa per un portafoglio prudente). Ma in questo momento la miscela può essere modificata: le obbligazioni, privilegiando le scadenze più brevi, non devono superare il 20%; un 40% può essere parcheggiato in cash, con l’avvertenza di esser lesti ad entrare sui mercati nel caso di scossoni estivi legati turbolenze sui mercati, con l’avvertenza di puntare sui titoli (bond od azioni) più sacrificate. Almeno il 40% va indirizzato in azioni, meglio se con la consulenza di gestori.  Ma quali azioni? Gli Stati Uniti sembrano l’approdo più redditizio di qui a sei mesi, vuoi per la ripresa in atto che per la rivalutazione del dollaro. Ma vale la pena di riportare il parere del Chief investment officer delle Generali, l’indiano   Nikhil Srinivasan: a medio termine, fra i 3 e i 5 anni, l’investimento che renderà di più sarà quello nelle azioni del sud Europa, Italia e Spagna in testa. Ma in quali settori? Il comparto più depresso che, un po’ come è successo negli Usa cinque anni, potrebbe guidare la ripresa sono le banche. Segue il lusso, già protagonista di grossi exploit e, soprattutto, il comparto industriale, almeno quello che può cavalcare l’export in Usa.       Non sarà, beninteso, una cavalcata trionfale. Anzi, meglio diffidare di eventuali rialzi all’insegna dell’euforia. Meglio che le Borse salgano a ritmo ridotto, fidando nell’atteggiamento benevolo della Bce, consentendo a banche, assicurazioni e fondi pensione di rimettere i conti in ordine.  di Ugo Bertone