Barack: spento e fumoso, poi il bacio di Sandy

Il democratico, viste le difficoltà interne, non ha preso impegni precisi. Deludente in tv, è riuscito a girare dalla sua crisi libica e la gestione dell'emergenza uragano
di Lucia Espositodomenica 11 novembre 2012
Barack: spento e fumoso, poi il bacio di Sandy
4' di lettura

La campagna elettorale di un presidente americano in carica dura di fatto quattro anni, da quando cioè gli elettori gli hanno permesso di andare alla Casa Bianca la prima volta fino alle elezioni successive. La regola naturalmente vale anche per Barack Obama, che agli elettori ha chiesto altro tempo per poter finalmente rispettare le grandi promesse fatte nel 2008, quando salì al potere sull’onda di un entusiasmo popolare fuori dal comune negli Stati Uniti. È questa la premessa sul quale il presidente ha impostato la sua campagna, ed è stato forse questo - al di là del risultato finale - il suo errore più grande, cioè quello d’aver di fatto rinunciato  fin dall’inizio ad una vera e propria campagna elettorale comunicativa, terreno sul quale aveva sbaragliato l’avversario nella tornata precedente. Il primo dibattito televisivo, al quale Obama è andato impreparato, convinto che agli elettori bastasse dire «datemi fiducia, datemi ancora quattro anni», è stata la prova più evidente. Ne è uscito male, e come un pugile suonato ha dato l’impressione di non essersi mai ripreso completamente, lasciando nell’incertezza un risultato elettorale che fino a qualche mese fa sembrava scontato. Campagna elettorale, dunque, da 6 meno meno. Comunicazione: 5  Quattro anni fa Obama seppe trovare le parole giuste per far breccia nei cuori degli elettori, il suo slogan «Yes we can» fu una delle chiavi del suo successo, la sua capacità di comunicazione anche attraverso mezzi fino a quel momento inusuali - come i social network, ad esempio - lo resero praticamente imbattibile. In questa campagna Obama non è invece riuscito a trovare uno slogan che traducesse in tre parole il suo programma di governo, dando l’impressione che quel programma in realtà non ci sia o non sia troppo chiaro, come peraltro non è mai stata troppo chiara in questi anni l’attuazione delle riforme annunciate. «Non siamo stati in grado di comunicare ai cittadini i risultati ottenuti dall’amministrazione» ha perfino ammesso il presidente, che con queste desolanti parole aveva iniziato la sua campagna.  Certo, Obama e il suo staff hanno usato meglio dell’avversario proprio i social network e la comunicazione su internet in genere, ma non si può dire che sia stato un suo esclusivo punto di forza. Gli resta l’oratoria, punto sul quale è superiore all’avversario, che da questo punto di vista  ha l’appeal di un amministratore di condominio. Ma la comunicazione è comunque risultata di qualità insufficiente. Temi etici: 6 E se il presidente in questa campagna è mancato proprio sul suo terreno,  non si può dire però che non sia stato capace di sfruttare le occasioni, tirando fuori un paio di conigli dal cilindro. Il primo a inizio campagna, quando si è dichiarato a favore dei matrimoni gay. Forse manco lo voleva veramente, lui che era stato sempre così cauto sull’argomento, ma l’hanno tirato per la giacca, perfino strattonato, finché non si è convinto che quello è ciò che ci si aspetta da un presidente liberal. Sandy: 7 L’apertura ai matrimon i gay è un fatto epocale per un presidente americano e in genere sui temi etici Obama è stato più chiaro di Romney, che nel tentativo di conquistare l’elettorale femminile ha fatto troppi passi indietro dalle sue posizioni originarie. Il secondo coniglio dal cilindro è arrivato a fine campagna, quando ha saputo ben sfruttare l’onda dell’uragano Sandy, dando di sé l’immagine del presidente responsabile e capace nelle emergenze di unire tutti gli americani indipendentemente del colore politico. Un immagine molto positiva che va al bel al di là dei suoi reali meriti sul pre e post uragano - l’organizzazione è stata tutt’altro che inappuntabile -  ma che proprio per questo rende la mossa di Obama e del suo staff ancora più efficace.  Vicepresidente: 5  Un errore è stato invece quello di insistere sul ticket con Joe Biden, vicepresidente sbiadito e mai troppo popolare, una scelta conservativa che stride con l’originaria immagine innovativa che Obama fin dalla prima elezione ha voluto dare di sé. E che impallidisce di fronte alla scelta ben più coraggiosa di Romney, che ha voluto come vice un politico giovane e solido come Paul Ryan. Politica estera: 6  E mentre in economia Obama è rimasto in campagna elettorale sulla sua posizione diametralmente opposta a quella anti-tasse di Romney - due punti di vista che o si accettano o si rifiutano quasi pregiudizialmente - in politica estera il presidente, specie nell’ultimo dibattito televisivo, ha saputo grazie anche alla sua oratoria girarla a suo vantaggio, mettendo in luce le lacune culturali dell’avversario e costringendolo perfino a dargli ragione. I suoi errori in Medio Oriente, la sua sottovalutazione dell’Iran atomico e il suo atteggiamento inginocchiato nei confronti della Cina sono stati cancellati dal suo unico indiscutibile trionfo, l’uccisione di Osama, e dall’inconsistenza di Romney, non all’altezza sul tema. Risentimenti: 5 Un punto a favore di Obama, dunque, sebbene per tutta la campagna il presidente abbia tenuto nascosto il suo Segretario di Stato Hillary Clinton, estremamente popolare negli Usa, il cui apporto avrebbe dato sicuramente una spinta in più alla rielezione. Secondo un sondaggio di un paio di giorni fa, la Clinton vincerebbe le elezioni sia contro Romney sia contro lo stesso Obama. E forse è per questo che quest’ultimo, sbagliando e cadendo nella trappola di antiche rivalità, ha preferito tenerla in disparte.   Errori e meriti che alla fine si pareggiano in una campagna elettorale ben poco entusiasmante per entrambi i candidati. Obama in questi anni ha deluso, ma d’altra parte Romney non convince. Il risultato elettorale sta tutto in questo dilemma.