«Il dibattito sulla finanza digitale non è più accademico: riguarda direttamente il nostro futuro economico, i nostri diritti e la sicurezza dei nostri risparmi». A dirlo è l’avv. Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere Penali internazionali e commentatore per network nazionali ed esteri sui temi di finanza, economia e politica della sicurezza. «CBDC, criptovalute, tokenizzazione e DeFi convivono tra opportunità e rischi che vanno governati con regole chiare e competenze solide», spiega.
Il confronto tra monete digitali emesse dalle banche centrali e criptovalute decentralizzate è oggi al centro di una trasformazione globale che investe istituzioni, mercati e cittadini. Nel suo ultimo libro On Chain Law and Finance – Trattato sulla finanza decentralizzata: smart contract, tokenizzazione e prospettive giuridiche, penali e tributarie, Tirelli avverte che la sfida non è solo tecnologica ma anche giuridica: «La CBDC è centralizzata e finalizzata alla politica monetaria, mentre le criptovalute offrono libertà economica, ma espongono a rischi fiscali e penali».
La recente analisi del Governatore di Bankitalia Panetta conferma questa contrapposizione: da un lato il Digital Euro, sotto il controllo della BCE, come strumento di tracciabilità e stabilità; dall’altro Bitcoin ed Ethereum, espressione di un sistema decentralizzato che riduce l’intermediazione statale ma espone a zone grigie normative.
Tirelli evidenzia anche un punto delicato: «La tracciabilità totale può entrare in conflitto con il GDPR e il diritto alla riservatezza». È il cuore del dibattito sul futuro della moneta: più controllo significa più sicurezza, ma anche meno libertà finanziaria individuale.
Rischi penali nella DeFi
«La DeFi è un terreno minato: basta un errore tecnico o giuridico per sconfinare nel penale», avverte Tirelli. Nel libro, l’autore spiega che «la DeFi può integrare molte fattispecie penali (abusivismo, frodi, riciclaggio). L’avvocato penalista deve imparare a leggere la blockchain per difendere efficacemente».
Questi rischi non riguardano solo i truffatori seriali, ma anche operatori in buona fede che operano in assenza di regole chiare. L’impatto limitato di MiCA, come rilevato dalla Banca d’Italia, significa che l’arbitrarietà interpretativa resta elevata, soprattutto nei casi di staking con rendimenti fissi, lending senza garanzie e raccolte fondi non autorizzate.
Tirelli ribadisce: «Promettere guadagni certi porta dritto al penale». Una frase che, nel contesto attuale, assume ancora più peso, dato che le zone grigie favoriscono indagini e contestazioni per abusivismo finanziario.
L’autore sottolinea anche un aspetto procedurale: «Serve la capacità di dimostrare la buona fede dell’operatore e la trasparenza delle procedure adottate». La difesa, quindi, non è solo reattiva, ma preventiva: documentare ogni passaggio, conservare audit, predisporre contratti e disclaimer legali.
Tokenizzazione immobiliare e di asset reali
«La tokenizzazione è rivoluzionaria, ma senza licenze rischia di diventare abusivismo finanziario», ricorda Tirelli, citando uno dei concetti cardine del suo lavoro. Nel libro, sottolinea come «la tokenizzazione apre mercati, ma senza licenze rischia di diventare abusivismo finanziario. Serve un inquadramento giuridico chiaro».
Il caso di Dubai, con quasi 400 milioni di dollari in vendite tokenizzate in un solo mese, mostra il potenziale economico di questo strumento. Tuttavia, senza un contesto normativo preciso come quello previsto da alcune giurisdizioni pro-crypto, in Italia e in Europa il rischio di contestazioni penali resta elevato.
Tirelli per questo avverte: «Tokenizzare beni reali senza licenza può configurare fondi di investimento collettivo non autorizzati». Per questo insiste sull’uso di SPV (Special Purpose Vehicle) e documentazione legale completa per legittimare le operazioni.
Il legale aggiunge: «Il frazionamento della proprietà e la liquidità internazionale sono vantaggi enormi, ma devono poggiare su basi legali solide, altrimenti il rischio è quello di trasformare un’innovazione in un caso giudiziario».
Regolamentazione internazionale (MiCA e oltre)
«MiCA è un passo avanti, ma non basta a colmare il divario tra innovazione e tutela», dichiara Tirelli. La critica della Banca d’Italia si inserisce in questo quadro: MiCA ha introdotto obblighi di whitepaper, disciplina sulle stablecoin e registrazioni obbligatorie per i VASP, ma non ha ancora generato un’adozione massiccia o un innalzamento sostanziale della compliance.
Nel libro, l’avvocato mette in guardia: «Il diritto internazionale e nazionale deve adattarsi ai nuovi strumenti digitali». Questa necessità si avverte ancora di più considerando che gli Usa procedono per enforcement by litigation, mentre giurisdizioni come Svizzera, Emirati e Liechtenstein attraggono operatori con regole favorevoli.
Tirelli osserva ancora: «Serve una visione armonizzata che non soffochi l’innovazione ma protegga i cittadini». E illustra: «Il rischio, senza un coordinamento internazionale, è che le imprese si spostino verso giurisdizioni più permissive, lasciando vuoti normativi nei mercati più regolamentati».
Strategie di compliance per operatori e investitori
«Trasparenza, compliance e pareri legali formali sono essenziali», sottolinea Tirelli, riprendendo uno dei capitoli più operativi di On Chain Law and Finance.
L’autore elenca misure concrete: costituzione di società in giurisdizioni certe, KYC/AML rigorosi, audit tecnici e legali su smart contract, comunicazione chiara con disclaimer, e divieto assoluto di rendimenti garantiti.
Nel libro, è chiaro: «Operare nella DeFi senza incorrere in responsabilità penali richiede un approccio strutturato, combinando diritto penale, regolazione finanziaria e tecnologia blockchain».
La notizia della Banca d’Italia, che denuncia un impatto limitato di MiCA, rafforza l’idea che la compliance non possa essere solo reattiva, ma debba precedere ogni progetto, colmando i vuoti normativi prima che lo faccia il legislatore.
Tirelli aggiunge: «Chi pensa di poter aggirare la normativa contando sul ritardo regolatorio commette un errore strategico: è in quei vuoti che si concentra l’attenzione delle Procure».
Ruolo strategico dell’avvocato digitale
«Il giurista della DeFi è figura ibrida: tecnico, consulente, investigatore e difensore», spiega Tirelli. La complessità delle interazioni tra CBDC, criptovalute e tokenizzazione richiede un approccio multidisciplinare: interpretazione normativa, lettura di smart contract, analisi di transazioni on-chain e predisposizione di difese in caso di indagini.
Nel libro, l’autore precisa: «L’avvocato non è più solo interprete della legge, ma ponte tra tecnologia e diritto». Il ruolo diventa ancora più strategico se consideriamo la critica di Panetta: senza un quadro normativo realmente efficace, l’avvocato è spesso l’unico presidio tra un’innovazione potenzialmente dirompente e la tutela degli interessi di cittadini e imprese.
Tirelli registra una nota di metodo: «Bisogna anticipare i rischi, non solo reagire alle contestazioni». E aggiunge: «La conoscenza tecnica e la visione giuridica devono procedere insieme: senza questa sinergia, il rischio di fallire nella difesa è altissimo».
Il libro On Chain Law and Finance chiude con una riflessione che oggi appare ancora più attuale:
«La DeFi non è solo rischio, ma anche opportunità: di innovazione, di trasparenza, di democratizzazione finanziaria. Il compito del giurista è governare l’innovazione senza soffocarla, proteggere i cittadini e gli investitori, e favorire la crescita di un ecosistema che può rivoluzionare il modo in cui concepiamo il denaro, i contratti e persino lo Stato di diritto».
Il futuro della finanza digitale non sarà deciso solo dalla tecnologia, ma dalla capacità di costruire un impianto normativo e culturale capace di reggere l’urto dell’innovazione. In questo scenario, la figura dell’avvocato digitale, così come delineata da Tirelli, è destinata a diventare un punto di riferimento imprescindibile per operatori, investitori e istituzioni.
r.d.a.