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Giuseppe Pignatone, show al Festival. Ma... toh che caso, la toga scorda "Il Sitema"

Paolo Ferrari
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Chi si aspettava un'autocritica, o almeno una analisi senza preconcetti sullo stato della giustizia e, soprattutto, della magistratura italiana, sarà rimasto molto deluso. Il nuovo libro di Giuseppe Pignatone, dal titolo Fare Giustizia, presentato ieri pomeriggio in pompa magna al Festival della letteratura di Mantova, si è tenuto abbondantemente alla larga dalla scandalo che ha travolto le toghe dopo lo scoppio del "Palamaragate". Nomine di procuratori lottizzate? Processi aggiustati? Sentenze pilotate? Nulla di nulla. Nel libro non c'è traccia. Eppure in questi ultimi due anni, fra loggia Ungheria, depistaggi nel processo Eni, rivelazione dell'avvocato Piero Amara, gli argomenti non sono mancati. E comunque era stato lo stesso Pignatone, attuale numero uno del tribunale Vaticano, a dire che la macchina giudiziaria in Italia non funziona e che serve una riforma, «non solo per rendere più efficaci processi e magistratura, ma anche per rinsaldare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni». 

 

Ecco, se esiste una istituzione la cui credibilità è ora ai minimi termini, quella è proprio la magistratura del Bel Paese. Davanti ad una platea non ostile- il Festival della letteratura di Mantova è una kermesse progressiste, quindi pro toghe Pignatone si è lasciato andare alla classica serie di luoghi comuni. Al punto che sembrava di ascoltare Piercamillo Davigo quando viene intervistato da Formigli su La7. I problemi della giustizia, ad iniziare dai tempi lunghi dei processi, ad esempio, sarebbero dovuti «all'eccessivo numero di avvocati», che avrebbero di fatto tutto l'interesse ad alimentare il contenzioso. Secondo una narrazione consolidata dalle parti dei grillini, più cause ci sono e più aumenterebbe il reddito per la classe forense. Una idea, quella del difensore "orpello", che non ha alcun rispetto per il ruolo dell'avvocato a difesa dei diritti. Sempre sulla scia del «Davigo pensiero», Pignatone ha toccato il tema della produttività dei pm italiani che gestirebbero un numero di fascicoli quasi 10 volte superiore a quello degli altri colleghi europei, ad iniziare da quelli francesi. La ricetta di Pignatone? La depenalizzazione. 

 

Dimenticando, però, che le rarissime volte che si propone di diminuire lo sterminato numero dei reati i pm, con la solita grancassa mediatica, salgono sulle barricate, stoppando ogni tentativo di riforma.Dopo gli avvocati e i pm super produttivi, la discussione si è spostata sulla corruzione. Tranchant la risposta di Pignatone: i fenomeni corruttivi sono molto percepiti in Italia perché, sempre grazie ai pm, si fanno i processi per corruzione. E in Italia si fanno perché esiste una magistratura indipendente in grado di condurre le indagini ed indirizzare la polizia giudiziaria. A tutto ciò si aggiunge una stampa libera che racconta queste belle indagini. Critiche, invece, alla politica che ha delegato negli anni alla magistratura la soluzione dei problemi. Su questo Pignatone ha ragione. La sudditanza della politica nei confronti delle toghe è talmente evidente che non riesce a fare una riforma che tolga potere alle correnti della magistratura per le nomine. Le leggi, infine, sono scritte «volutamente male». E questo anche se i ministeri sono infarciti di magistrati. Si pensi al ministero della Giustizia dove tutti i posti che contano sono occupati da magistrato. Per concludere un accenno alla mafia, che resta sempre un grande problema, più della corruzione. Del «Sistema» che governa la magistratura, però, nessun accenno.

 

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