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Magistratura, Sabino Cassese e l'anomalia italiana: "Il 20% parente o figlio di una toga"

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Per un corretto sistema giudiziario il cardine non può che essere la presunzione di innocenza. Lo mette nero su bianco Sabino Cassese, ex giudice della Corte costituzionale che ricorda ai colleghi il secondo comma dell'articolo 27 della Costituzione. Ossia: l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Eppure, tuona sulle colonne del Giornale, "questo principio è stato travolto in Italia dall'affermazione di quello che può chiamarsi un vero e proprio quarto potere, le procure".

 

 

In poche parole chi dovrebbe limitarsi all'accusa spesso e volentieri giudica. "Basti pensare alle conferenze stampa in cui si vedono procuratori circondati da forze dell'ordine, che annunciano, con titoli altisonanti, le accuse. In inglese questo processo si chiama naming and shaming, cioè nominare e svergognare". Complice la classe politica, "che ha, da un lato, abbassato tutte le regole di immunità che spettavano agli amministratori pubblici, dall'altro creato complessi normativi (ad esempio, antimafia) affidandone la cura ad una magistratura divenuta il guardiano della virtù".

 

 

La giustizia italiana presenta però un'altra falla e sta tutta nel reclutamento dei magistrati: "In primo luogo - prosegue - si misurano le conoscenze giuridiche, non la capacità di ponderazione, la maturità, la riflessività dei candidati. In secondo luogo, c'è un alto grado di familismo: si può stimare che poco meno del 20 per cento degli attuali magistrati sia figlio o parente di magistrati. Questo segnala un fenomeno che potrebbe chiamarsi di endogamia, che dovrebbe essere ulteriormente approfondito e valutato". Ma che sicuramente non è da sottovalutare. Infine uno degli aspetti che Cassese definisce più "preoccupanti": "Come persone tanto preparate, ottimi professionisti, possano essere inconsapevoli di lavorare in una struttura che non risponde alla funzione affidatale dalla Costituzione, quella di dare giustizia".

 

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