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Matteo Renzi, le bordate contro la magistratura di sinistra? Meglio tardi che mai...

Fausto Carioti
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Nel giorno in cui Matteo Salvini annuncia che la federazione con Forza Italia è stata abortita e il futuro del centrodestra torna ad essere un indovinello avvolto in un mistero, l’altro Matteo tira fuori tutto quello che non ti aspetti da un ex segretario del Pd. Un’intemerata contro il «disastro del potere giudiziario», contro lo «strapotere vergognoso che le correnti hanno dentro la magistratura», contro la sinistra «che ha immaginato di trarre vantaggio dalle vicende giudiziarie che riguardavano la parte della politica che stava nell'emiciclo a destra», contro l'omertà di tutti i suoi colleghi: «Nessuno ha il coraggio di dire quello che sta succedendo, come se la politica avesse paura».

Tutte cose vere, peraltro. Certo, Renzi se ne sarebbe dovuto accorgere prima. Magari nel novembre del 2013, quando il Pd di cui faceva parte, e del quale pochi giorni dopo sarebbe diventato segretario, votò, con il suo consenso, in favore della cacciata di Silvio Berlusconi dal Senato, confermandosi prono alla magistratura. È ovvio che il senatore fiorentino ora parla così perché nel frattempo ha provato cosa significa trascorrere i propri giorni nella parte sbagliata del ceto politico: quella in cui sei indagato in proprio e tramite i tuoi parenti e additato dalle toghe di Magistratura democratica come uno attorno al quale va steso «un cordone sanitario». Inevitabile, quindi, che i primi destinatari delle parole di Renzi siano i suoi nemici nella magistratura, ai quali ieri, in buona sostanza, ha detto: non mi farete fare la fine di Berlusconi. Il suo discorso, però, non si ferma qui. Intanto perché chi oggi dice simili cose si brucia i ponti alle spalle, e domani non potrà allearsi con gli Andrea Orlando, i Giuseppe Provenzano, gli Alfonso Bonafede e i Giuseppe Conte.

 

 

 

Se per Renzi il rapporto tra magistratura e politica è il tema più importante, quello da cui dipende la tenuta della democrazia, e a questo punto non ci sono dubbi che sia così («abbiamo consentito che fossero i pubblici ministeri a decidere chi poteva far carriera politica e chi no...»), è solo assieme al centrodestra, qualunque forma esso abbia, che potrà cambiare le cose. Proprio la crisi della coalizione tra sovranisti, conservatori e liberali, del resto, pare aprirgli porte nuove. Il matrimonio tra Lega e Forza Italia sembra saltato, e questo rende più libero il partito del Cavaliere, dove molti si sentono più affini al Matteo di Firenze che a quello di Milano.

 

 

 

Inoltre la competizione tra Salvini e Giorgia Meloni si è inasprita, anche perché il primo si è schierato con Mario Draghi e il Green pass, che non sono due parentesi, ma elementi che resteranno sulla scena a lungo, continuando a condizionare consensi e alleanze. Una batosta alle amministrative, come quella prevista da certi sondaggi, potrebbe solo allargare queste crepe. C'è un unico collante che tiene insieme il centrodestra a livello nazionale, ed è la legge con cui si vota alle elezioni politiche, che incentiva i partiti a coalizzarsi. Ma anch' esso regge sino a un certo punto, poi cede. Per l'ex sindaco s' intravede così la possibilità di alleanze sino a ieri impensabili. Se poi a Carlo Calenda, sostenuto pure da Italia Viva, riuscisse una buona affermazione nella capitale, vorrebbe dire che il vento ha ripreso davvero a soffiare dalla parte giusta per Renzi, e che il politico più spericolato della sua generazione avrà l'opportunità di cadere un'altra volta in piedi.

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