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Claudio Martelli e Stato-mafia, "la verità sulla trattativa". Pm e carabinieri, intreccio pericolosissimo

sabato 25 settembre 2021

2' di lettura

I processi di Palermo sono l'emblema dello scontro di potere tra pm e carabinieri e un tripudio di ambizioni personali. "Purtroppo se i pm vogliono scrivere la storia politica si generano disastri. Loro devono accertare i reati", dice Claudio Martelli in una intervista a Il Giornale. . Con la sentenza d'appello "viene confermato che c'è stata una trattativa tra apparati dello Stato, nello specifico i Ros dei carabinieri, con esponenti di Cosa Nostra come Ciancimino, per avere informazioni utili per le indagini, evitare nuove stragi e catturare Totò Riina. Ma un conto è la trattativa di un privato cittadino, un conto è quella di rappresentanti delle istituzioni con mafiosi, per convincerli a collaborare con la giustizia, offrendo benefici. Qualcosa che si fa spesso, sempre...", osserva l'ex guardasigilli.

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Martelli ha sempre parlato di "cedimento" e non di "trattativa". "Nel maggio e poi nell'ottobre del '93, quando il mio successore alla Giustizia Conso tolse dall'isolamento del carcere duro prima 100 poi 300 mafiosi fu un atto di cedimento, un errore politico gravissimo", spiega. "Ma non è un reato pensare, sbagliando, che così sarebbero finite le stragi".

E Martelli è sempre stato contrario ai contatti con Ciancimino. "Mi lamentai con i superiori di Mori e Di Donno per la loro iniziativa, però al massimo si potevano individuare responsabilità professionali, disciplinari non certo penali. Avevamo appena varato la Dia e la Dna, per creare un coordinamento per i delitti di mafia tra intelligence, polizia, carabinieri e guardia di finanza. E invece Mori fece per conto suo. Chiesi perché non avesse informato i suoi superiori, lui poi spiegò di aver parlato con Subranni. Ma perché, invece, non informò il nuovo organo unitario?".

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Insomma, per Martelli, "trattare con la mafia è altro. Qualche mese fa è stato liberato Giovanni Brusca, l'assassino materiale di Falcone, dopo una trattativa di anni perché collaborasse in cambio di un trattamento speciale, di sconti di pena. Una trattativa, appunto. L'intelligenza di questa sentenza non è che manda assolti tutti, ma che dice: non ci sono reati".

E questo processo durato dieci anni "lo giudico un disastro. All'origine di tutto c'è la condotta della procura di Palermo, guidata da Gian Carlo Caselli. I carabinieri prima furono accusati di non aver perquisito il covo di Riina dopo l'arresto (risposero che volevano vedere chi andava lì), poi di aver favorito la latitanza di Provenzano. C'è una lotta infinita tra corpi dello Stato all'origine dei processi. I pm volevano riaffermare il loro potere sui carabinieri, dire noi comandiamo e voi siete sottomessi all'autorità giudiziaria". Quindi "era questione di potere, poi che nel tempo qualcuno abbia puntato a bersagli politici..." come Berlusconi "non c'è dubbio, sì".

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