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Mani pulite, non pulitissime. Quando metà Procura di Milano è indagata

Bocassini e Greco ai bei tempi

Il Procuratore capo graziato dai colleghi di Brescia, mentre Davigo e altri rischiamo il processo sul caso Amara. E, tanto per non farci mancare nulle, nel libro delle Boccassini martellate ai colleghi

Francesco Specchia
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«Io non godo proprio mai/se qualcuno sta nei guai/ma se lui da sempre dice/che l’avviso fa felice/perché è come una malia/a tutela della garanzia/io aderisco al sentimento/e anch’io sono contento». Quando il principi del foro milanese Jacopo Pensa, avvocato per pregio e poeta per Fato, pubblicò il suo illuminato stornello contro l’antigarantismo di Piercamillo Davigo, probabilmente lo stesso Dottor Sottile delle toghe non era ancora sotto accusa. Ma il vento  cambia.

Ora che il grande accusatore, dal crepuscolo della pensione, diventa accusato, Davigo dovrà dimostrare di essere l’eccezione alla sua teoria da sempre sostenuta sulla pelle altrui: «L’innocente è solo un colpevole che l’ha fatta franca». Un brocardo antico che evoca  stagioni temibili. Eppure, proprio nella Procura- simbolo di Milano, proprio nella culla di Mani Pulite accade oggi l’inaccadibile.

Sono nove i pubblici ministeri di Milano, anzi, a ben contare, undici considerando la pensionata Ilda Boccassini e l’ex, proprio del pool, Davigo, a essere indagati dalla Procura di Brescia che per competenza territoriale si occupa delle presunte violazioni di legge dei vicini colleghi. Di solito Brescia ci va leggera con i  meneghini, anche perché qui le toghe provengono spesso da Milano –compreso il procuratore capo Francesco Prete-: e tra  ricordi d’aula e antiche frequentazioni, cane non mangia cane.  Solo che ora, in pratica, è sott’inchiesta mezza Procura. Il grosso rientra nel procedimento nato dai verbali dell’avvocato Pietro Amara sulla Loggia Ungheria, dal procuratore Francesco Greco, agli aggiunti Fabio De Pasquale e Laura Pedio, ai sostituti Sergio Spadaro -assegnato alla neonata Procura europea-  e Paolo Storari, i cui interventi hanno inguaiato i colleghi. Poi spiccano quattro pm iscritti nel registro bresciano per altri fatti. Alberto Nobili, responsabile dell’antiterrorismo, è indagato, assieme alla ex moglie Ilda Boccassini, per abuso d’ufficio in relazione a un incidente automobilistico mortale che coinvolse la figlia dei due. Vicenda per la quale, ad onor del vero, è già stata chiesta l’archiviazione.

Poi s’è scoperto che i pm esperti in reati finanziari Stefano Civardi, Giordano Baggio e Mauro Clerici sono indagati per omissione in atti d’ufficio: non avrebbero approfondito  la posizione di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ex vertici di Mps, in una delle indagini sulla crisi della banca. Ma, per tornare al caso Amara, e acclarata l’archiviazione per Francesco Greco –il capo, anch’egli oramai in pensione- Prete ha concluso le indagini preliminari (il che statisticamente anticipa il rinvio a giudizio) nei confronti di Davigo,  Storari, De Pasquale e Spadaro. In particolare gli assolti  dalle Procure, i garantisti, e coloro i quali hanno subìto fino all’archiviazione lo zelo delle toghe milanesi si sono goduti quella sorta di soap a tinte noir dello scazzo Greco-Davigo. Con tanto di accuse reciproche e di verbali scottanti sulla Loggia Ungheria usciti per magia dai cassetti di Marcella Contraffatto, la segretaria di Davigo consigliere del Csm. 

Brescia non era così affollata da magistrati piazzati dall’altra parte dell’aula dai tempi in cui il pm Ferdinando Esposito, indagato e poi condannato per induzione indebita spinse un commercialista a prestargli 5mila euro in cambio della possibilità di presentargli in Procura magistrati che potessero affidargli incarichi da consulente. Ora è tutto un via via, di fatti imbarazzanti, di circostanze al limite, di reputazioni macchiate, di lotte intestine e guerre perdute prima d’esser combattute. Ma il clou, giornalisticamente, lo raggiunge Ilda Boccassini. Nel libro La stanza numero 30 (Feltrinelli) condisce le memorie oltre che dell’inedito sentimentale con Giovanni Falcone  di schizzi di curaro verso colleghi che mai avresti detto. 

Ilda la rossa dipinge Nicola Gratteri come uno «che creava tensione con il suo vantarsi di una conoscenza della 'ndrangheta talmente approfondita e a suo dire unica da ricavarne bizzarramente (poiché era il solo a esserne convinto) un senso di superiorità nei nostri confronti». Spara su Antonio Ingroia e Nino Di Matteo per le scelte investigative e gli errori sulla Trattativa. E col senno di poi, vista la sequela di assoluzioni da Mario Mori in giù, evidentemente aveva ragione lei.

Di Roberto Scarpinato Boccasini scrive: «Non ho mai apprezzato il suo stile da narciso siciliano perfettamente rappresentato dalla sua acconciatura alla D’Artagnan ». Greco, invece lo ritiene un ex amico macchiatosi di tradimento: «La situazione in cui mi trovavo si faceva ogni giorno più incresciosa. Ne parlavo soltanto con Paolo Storari, pur sapendo che molti altri magistrati erano indignati per il prolungarsi delle non-scelte di Greco. I mesi trascorrevano lenti, mentre cominciava a prendere forma il progetto organizzativo de procuratore, tanto favorevolmente accolto dai membri della commissione che ne aveva deciso la nomina, a cominciare da Paola Balducci, convinta sostenitrice di Greco, oltre che indiscussa rappresentante della logica spartitoria, come sarebbe emerso dalle chat di Luca Palamara». E argomenta di “ricerca spasmodica di fette di potere da parte di troppi magistrati”, di svendita della propria funzione per pochi spiccioli, di raccomandazioni a prezzo di poca dignità. 

Insomma. Si è chiusa davvero la stagione di Mani Pulite. La tristezza invade le aule di tribunale, i fratelli s’accoltellano, i fascicoli s’accumulano e noi tutti abbiamo la solita fiducia nella magistratura, of course…

 

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