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Sergio Santoro, il magistrato rovinato dall'articolo di Repubblica: vince in tribunale, ma ormai è troppo tardi

Claudia Osmetti
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La prima cosa che noti è che il dottor Sergio Santoro è un'uomo d'altri tempi. Non si arrabbia, non strilla, non se la prende. «Ho vissuto tutto questo con la serenità di chi è consapevole di avere dalla sua argomenti irrefutabili». Già da come sceglie i termini lo capisci, che è un esperto di legge. Oggi fa l'avvocato, ma è stato magistrato al Tar e ha guidato l'Avcp (cioè l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, sui servizi e le forniture che, dal 2014, è stata accorpata all'Anac, l'Autorità nazionale anticorruzione). Era lì lì, Santoro, qualche anno fa, per diventare presidente del Consiglio di Stato, il gradino più alto del nostro diritto amministrativo, ma gli è andata male. «Nel 2016 ho intrapreso una causa per diffamazione in relazione a un articolo apparso sul quotidiano La Repubblica. L'ho vinta, le motivazioni della sentenza di primo grado sono uscite in questi giorni. Ma l'intera vicenda ha influito sulla nomina, che non è mai arrivata». Sorride, Santoro, che non è tipo da lagnarsi: «Mi è andata bene lo stesso, ho potuto fare il presidente aggiunto il che ha significato che non ho dovuto abbandonare la toga, cosa per me importantissima. E poi mi ha messo alla prova. Ne sono uscito più forte perché ho capito che avevo abbastanza carattere da reagire».

 

 

Cosa è successo? «Purtroppo il giornale è caduto in un grosso equivoco, sarebbe bastata una telefonata e avrei chiarito all'istante la mia posizione». Sul tavolo del tribunale civile di Roma c'è un faldone, riguarda un pezzo dal titolo "Il caso Roma. L'uomo di Alemanno che insabbiò Mafia Capitale". L'uomo a cui il testo si riferisce è Santoro e il catenaccio recita: «Cantone (il presidente dell'Anac, ndr) contro Buzzi e Carminati: "Sui contratti con le coop procedure irregolari, l'Autorità di vigilanza sapeva e non fece nulla"». «Non è andata così», spiega Santoro, in mano le quattro paginette delle motivazioni che mettono nero su bianco quanto afferma: «Nel 2012 è intervenuto il Parlamento, con una norma, la numero 137, che ha fatto salvi in via transitoria, e fino al 31 dicembre del 2014, gli affidamenti diretti fino a 200mila in favore delle cooperative sociali. L'Avcp voleva vederci chiaro, proprio per questo aveva deciso di fare una disamina più ampia, quindi di allargare i suoi controlli. Ma è intervenuta quella "sanatoria", che era pur sempre una legge dello Stato».

 

 

 

Non finisce tutto qui, però. A Santoro, il cui nome compare nell'articolo che lo tira in ballo, non possono essere imputati «possibili omissioni compiute nel corso del 2010 e del 2011» (citiamo le motivazioni appena uscite), con particolare riferimento a una delibera del 20 luglio 2011, semplicemente perché lui era stato sì eletto alla presidenza dell'Avcp in quell'anno, ma il29 luglio, con conferma il 19 settembre, cioè ben oltre i supposti fatti. «Si è creato molto scompiglio mediatico attorno a questo episodio, tuttavia nessun pubblico ministero ha pensato di aprire un'inchiesta ufficiale, segno che non c'era sostanza» commenta il diretto interessato. Fresco fresco della pronuncia che gli dà ragione, cinque anni dopo, e che gli riconosce un risarcimento per danni da diffamazione di 18mila euro e di 2mila in capo all'autore dell'articolo (Santoro aveva chiesto mezzo milione). 

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