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Guido Crosetto e Angelo Burzi: se li critichi, i magistrati gridano al vilipendio

Guido Crosetto

Iuri Maria Prado
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 È anche possibile che fossero mal dirette le considerazioni che Guido Crosetto, già parlamentare di Fratelli d'Italia, ha rivolto al caso di Angelo Burzi, il politico piemontese che la notte di Natale si è sparato in testa perché non sopportava il peso dei processi e del provvedimento di condanna di cui era destinatario, e che riteneva ingiusto. Crosetto ha dichiarato che quell'uomo era vittima di una giustizia orientata, perché «c'è gente che l'amministra solo per combattere i nemici»: e, appunto, è ben possibile che si trattasse di un giudizio gratuitamente rivolto ai magistrati che si sono occupati di quel caso. Ma, se pure fosse così, convincerebbe assai poco la lunga dichiarazione resa dal procuratore generale presso la Corte d'Appello di Torino, Francesco Saluzzo, secondo cui simili giudizi «gettano discredito e potrebbero costituire anche vilipendio dell'ordine giudiziario».

Ora, ipotizzare che le sentenze uscite da quegli uffici, come da qualunque altro, possano essere il frutto di pregiudizi politicamente orientati può essere sbagliato: ma che arrechi «discredito» a un ordine di potere i cui esponenti hanno dato abbondantissima prova, e non si sa più quante volte, di comportarsi proprio in quel modo, esponendosi così a discredito per causa tutta propria, è a dir poco incauto. Per non dire dell'altra figura (il "vilipendio") evocata dal procuratore generale torinese, che suppone l'insulto indebito a un complessivo decoro istituzionale il quale, ancora una volta per condotta propria della magistratura stessa, non appare propriamente intonso. È forse già discutibile che un magistrato di vertice difenda il lavoro dei propri uffici replicando alle valutazioni critiche che, giustamente o no, si levano dal pubblico dibattito. Ma trarne argomenti a rivendicazione del credito dell'ordine giudiziario, e a vagheggiamento un po' minaccioso di ipotesi di vilipendio, è parecchio fuori segno.

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