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Mostro di Firenze, "bossolo non compatibile": hanno incastrato Pacciani?

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Dubbi e ombre sul mostro di Firenze: una delle ultime scoperte riguarda il proiettile ritrovato nell'orto di Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per i duplici omicidi commessi dal 1974 al 1985 e successivamente assolto in appello e morto prima di essere sottoposto a un nuovo processo per appello. Pare, infatti, che quel proiettile non sia mai stato incamerato nella Beretta calibro 22, l'arma usata per uccidere 16 volte. A rivelarlo è stata una perizia del Ris visionata dal Giornale e depositata negli atti.

 

 

 

Dalla perizia è emerso che non solo la scalfitura sul proiettile risulta "incompatibile" con quella pistola, ma anche che potrebbe essere stata causata da "un utensile non meglio specificato, estraneo all'estrattore di un'arma da fuoco". In ogni caso, non è la prima volta che si arriva a una conclusione di questo tipo. Già nel 2019 la perizia di Paride Minervini mise nero su bianco la possibilità che l'unica prova contro Pacciani fosse stata costruita solo per incastrarlo. Che ci sia stato un depistaggio? Il sospetto è che siano finiti in carcere degli innocenti. Non solo Pacciani, ma anche i suoi cosiddetti compagni di merende, Mario Vanni e Giancarlo Lotti.

 

 

 

Se l'ipotesi del depistaggio venisse confermata, però, bisognerebbe accertare il responsabile della situazione. Secondo Paolo Cochi, autore di un libro sulla vicenda e consulente dei parenti di alcune delle vittime, all'interno delle carte sul procedimento Pacciani si nasconde il nome del vero killer. Gli elementi di interesse, come sottolinea il Giornale, sono tre: "Il Dna rimasto su tre lettere inviate ad altrettanti magistrati nel 1985, un uomo castano-rossiccio di un metro e ottanta visto da alcuni testimoni prima degli omicidi di Claudio Stefanacci e Pia Rontini del 1984. Ma soprattutto un dossier dei carabinieri su un furto di cinque Beretta calibro 22 in un'armeria nel 1965". Di queste armi, una avrebbe condotto a un uomo che avrebbe lavorato in ambienti giudiziari nonostante denunce per reati contro la libertà sessuale, truffa e resistenza. La persona in questione però non fu mai messa tra i sospetti. 

 

 

 

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