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Csm, la disfatta delle toghe rosse: nel mirino ora la Consulta

Francesco Specchia
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L’avvocato Fabio Pinelli risulta, agli atti, persona dabbene. Leghista sottotraccia, professionista bipartisan (è il penalista di Armando Siri ma pure del giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, è sponsorizzato da Salvini ma pure da Luciano Violante collega alla fondazione Leonardo) Pinelli, col suo issarsi alla vicepresidenza del Csm, rende l’idea di un presidio giuridico inattaccabile. Ma non è tanto quello. Non è l’uomo ma la sua nomina a segnare un punto di snodo epocale nell’istituzione. Pinelli è la fiammella della revoluciòn tra le toghe, una sorta di Che Guevara al contrario.

Il suo insediamento – 17 voti - rompe il fronte secolare del monopolio del Pd nel ventre dell’organo di autogoverno dei magistrati. Da anni quel posto era stato occupato dalla sinistra; per dire, David Ermini, uscente capo del Consiglio Superiore della Magistratura lo era diventato grazie all’accordo nel 2018 con l’allora Pd Luca Lotti, in «uno dei punti più alti di opacità, faziosità e guerriglia interna dell’istituzione», come scrive Sandro Sallusti nel fotografare i meccanismi del “sistema” diosservanza palamariana.

 

 

 

CONTRO I PRONOSTICI
Epperò, soltanto fino a qualche ora fa, si pensava che anche stavolta avrebbe prevalso la linea Dem. Linea che puntava sul laico Roberto Romboli, il quale, sulla carta, non avrebbe avuto titoli d’eleggibilità (docente pensionato e senza i 15 anni di esercizio professionale ex L.195/1958); eppure grazie ad un’interpretazione lasca della Commissione Verifica Titoli - a cui Romboli stesso appartiene- stava lìlì per essere eletto (14 voti). Quindi, l’avvento di Pinelli si connota come la catarsi del centrodestra: l’avvisaglia di una palingenesi che potrebbe davvero realizzare le grandi riforme. Tra l’altro, questa elezione, è tanto politicamente rilevante in quanto era stata fatta saltare la prima scelta di Fratelli d’Italia, quell’antico missino di Peppino Valentino già sottosegretario alla Giustizia e presidente della Fondazione An, per il quale era affiorata, all’ultimo, la soffiata d’una mera iscrizione al registro degli indagati in Calabria. Pare questioni di ‘ndrangheta.

Giorgia Meloni, dopo un moto di stizza, e con la consapevolezza che si sarebbe commesso un errore mediatico nel far svettare Valentino nel giorno della cattura di Messina Denaro, era passata al “piano B”. E si era mossa tra le candidature di Isabella Bertolini, Daniela Bianchini e Rosanna Natoli. Specie quest’ultima donna, giurista stimatissima sarebbe stata l’ideale vicepresidente. Ma, in quota Lega erano rimasti Claudia Eccher e, appunto Pinelli. Sicché, dopo una frettolosa conta interna, l’ulteriore step è stato al “piano C”: eliminata l’opzione Felice Giuffrè (per disorganizzazione nella comunicazione dei voti), Fratelli d’Italia ha fatto un passo di lato, in nome del «bene del centrodestra» e attraverso la concentrazione dei voti su Pinelli il più professionalmente e accademicamente titolato. È l’inquadramento oplitico del centrodestra che si realizza, per virtuoso automatismo, nei momenti in cui tutto sembra perduto.

Certo, in tutto questo, Forza Italia non ha toccato palla; ma anche il partito di Tajani, che oggettivamente non poteva ambire a molto di più (date le posizioni storicamente divisive), trova una propria dimensione nel colpo di lombi della maggioranza. E, certo, non sarà contentissimo il capo dello Stato. Mattarella aveva omaggiato la buona fede dell’organo di cui è Presidente, nonostante la «consiliatura complessa»; o, forse magari, il Presidente sarà entusiasta. E, certo, non è che Fratelli d’Italia abbia mollato la presa sul Csm così, aggràtis. Non è un mistero che tra la primavera e giugno prossimi si dovrebbero liberare 1-2 posti alla Corte Costituzionale, scranni appetibilissimi per qualsiasi politico compreso Ignazio La Russa che li accarezzava in alternativa alla Presidenza di Palazzo Madama.

 

 

 

L’AUTOREVOLEZZA

L’arrivo di Fabio Pinelli fa riprendere autorevolezza alle componenti moderate di centrodestra. E cancella il caos derivante dalla mancanza di fermezza denunciato dai parlamentari azzurri («con Niccolò non sarebbe mai successo»,riferimento al compianto Ghedini maestro di trattative nei meandri del Csm). E prelude a mille battaglie, in sintonia con le idee armate di mitragliatrice di Carlo Nordio. Pinelli, prof universitario,cassazionista, e penalista classico, era stato il difensore di Luca Merisi. Ossia del guru del web di Salvini, additato al pubblico ludibrio – e poi assolto- per abuso di intercettazioni non penalmente rilevanti. Ossia la prima battaglia del Guardasigilli. Pinelli. Un po’ Lega Nord, un po’ Lega Nordio. È un buon inizio... 

 

 

 

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