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Strage di Bologna? Criticare le sentenze è costituzionale: il passato lo dimostra

*Professore Ordinario di Diritto Comparato
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Le recenti dichiarazioni rese dal responsabile della comunicazione della Regione Lazio a proposito delle sue riserve sulla colpevolezza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini quali autori della strage di Bologna, induce a riflettere sulla possibilità di criticare le sentenze ancorché definitive. È evidente che qualora vengano levate critiche in modo sistematico e senza alcun fondato motivo verso le decisioni emesse dall’autorità giudiziaria si crea una delegittimazione dell’istituzione che inficia l’intero sistema ordinamentale. Ma, al di là di queste condotte, quando le sentenze prendono in considerazione fatti storici controversi che hanno attraversato la storia del nostro paese e che hanno acceso per anni un dibattito pubblico, l’espressione della propria opinione circa la fondatezza dell’accertamento giudiziario, ivi incluso il procedimento rituale con il quale si è arrivati alla sentenza definitiva, costituisce una facoltà che rientra nell’ambito del costituzionalmente consentito.

 

 

Si pensi a vicende come l’assassinio di Aldo Moro, del commissario Calabresi, la strage di Ustica, di Erba, o l’omicidio di Chiara Poggi, di Meredith Kercher, o la morte di Davide Rossi, o la squalifica del corridore Alex Schwazer, o l’attentato a Papa Wojtyla: tutte le sentenze, sebbene definitive, hanno lati oscuri e incertezze e sono oggetto di continui approfondimenti, dibattiti, diretti a generare il dubbio sull’esito corretto o completo degli accertamenti giudiziari. Ciò rappresenta l’esercizio della libertà di espressione che peraltro costituisce anche un controllo sull’operato di un pubblico potere, soggetto, come tutti gli altri, a valutazioni critiche e giudizi, purché essi siano fondati su argomentazioni solide, logiche, documentabili ed espresse senza alcun intento denigratorio verso l’autorità giudiziaria. Se resa in questo modo, la critica contribuisce ad arricchire il dibattito pubblico e non può essere interpretata come un attacco alla magistratura ed alla sua indipendenza, o peggio ancora, percepita come lesa maestà.


Sindaco di riace Del resto, perfino la magistratura, attraverso le sue varie componenti associative, ha riconosciuto tali principi. Si pensi al recente caso della condanna giudiziaria dell’allora Sindaco di Riace amato dalla sinistra, Mimmo Lucano, che ha generato aspre critiche alla sentenza, perfino prima ancora che venissero depositate le motivazioni: la magistratura nelle sue componenti associative ha avallato le disapprovazioni da più parti mosse; ad esempio, un alto esponente di Magistratura Democratica pubblicava sul quotidiano il manifesto un articolo dal titolo «Criticare la sentenza non è lesa maestà» nel quale si legge: «la soggezione delle attività giudiziarie alla critica dell’opinione pubblica rappresenta una delle principali garanzie di controllo sul funzionamento della giustizia.

 

 

Ma vi è di più. A quanti, specie all’interno della magistratura, oppongono preconcette chiusure verso la critica pubblica ai provvedimenti giudiziari, occorrerebbe replicare ribaltando l’argomento dell’attacco alla indipendenza del giudiziario, evocato spesso in occasioni simili: ricordando, più in particolare, che il controllo dell’opinione pubblica sulle attività giudiziarie è un fattore essenziale non soltanto di responsabilizzazione democratica per i cittadini, ma anche di educazione dei giudici ad un costume di indipendenza». Magistratura Indipendente diffondeva un comunicato in cui si legge: «nello stato di diritto la magistratura rende conto all’opinione pubblica delle sue decisioni attraverso le motivazioni, che possono essere lette da tutti, criticate, e, ovviamente, impugnate, ma che devono essere il punto di partenza di ogni discussione». 

di Pieremilio Sammarco

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