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Brescia, rivolta in Procura: basta favori agli immigrati

Claudia Osmetti
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Toh, l’hanno capito anche i magistrati. Magari non tutti, per carità: perché alla fine carta canta e, qui, a gorgheggiare è la richiesta, avanzata a fine luglio, da un pubblico ministero di Brescia, Antonio Bassolino, che ha proposto di assolvere un cittadino originario del Bangladesh, accusato di violenza domestica sulla moglie, perché «è la sua cultura». Ecco, no. E no non solo perché certi comportamenti sono inaccettabili, sia che avvengano a Dacca sia che capitino nel cuore della Lombardia, anzi, a maggior ragione se si verificano nel mondo occidentale, ma no anche perché, poi, a farci una figuraccia, a strabuzzare gli occhi e quasi a non crederci, siamo un po’ tutti. 

Compresi i colleghi del pm di cui sopra che da ieri si ritrovano con la patata bollente in mano e (forse) gli ispettori del ministero alla porta.
Ma come? Nel 2023, in Italia, la provenienza geografica diventa una «giustificazione» per fatti del genere che vale, addirittura, pensate, nientepopodimenoche, in tribunale? Non è possibile e, per questo, il procuratore Francesco Prete di Brescia ammette che il suo ufficio «ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stato fermissimo nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento (lo sottolineiamo per essere chiari al cento per cento: ndr) “culturale”, nei confronti delle donne».

 

DALLA POLITICA
Bravo, Prete. Applausi. Però ci voleva tanto? Ci volevano i commenti indignati, le prese di posizioni politiche, le dichiarazioni piccate da parte di avvocati, associazioni, ministri (come Eugenia Roccella, Famiglia) e istituzioni (il presidente del Senato Ignazio La Russa) delle ultime ore? Tutto sommato è buonsenso. Ed è anche il diritto, che non è proprio quella cosa che si può stravolgere, snaturare o “forzare”. Certo, la procura bresciana sottolinea anche che «in base alle norme del codice di procedura penale, nell’udienza il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni in piena autonomia»: verissimo, fa sempre parte del discorso giuridico che ci siamo fatti, quel un bilanciamento di forme e tutele e ci mancherebbe giusto il contrario.

Epperò, le conclusioni avanzate in aula (quelle dell’«impianto culturale e non della coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge» dato che «la disparità tra uomo e donna è un portato della sua -del bangalese, ndr- cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine») «non possono essere attribuite all’ufficio nella sua interezza, ma solo al magistrato che svolge le funzioni in udienza», continua Prete. Che è come dire: noi-c’entriamo-niente-la-frittata-l’ha-fatta-lui-Bassolino. E va anche bene così, sia chiaro: se la procura bresciana si dissocia è già qualcosa. Almeno è un segnale.

 

Specie se considerato, al netto delle discussioni sul caso, che nel mezzo c’è una ragazza di appena 27 anni, che ha due figlie piccole, che è venuta nel nostro Paese dieci anni fa come sposa a un cugino, che si è ritrovata (lo racconta lei stessa) «costretta a stare in casa», che ha subito «urla, insulti e botte» se solo provava a dire di no, che ha denunciato il marito nel 2019 e che solo questo basterebbe, perché il 2019 è una vita fa, non c’era nemmeno il Covid, e quattro anni per avere giustizia (ammesso che giustizia ci sia) sono un tantinello troppi. Non a caso il biasimo politico è, per una volta, unito: il Partito democratico con Pina Picierno e Fratelli d’Italia con Riccardo De Corato e Forza Italia con Maurizio Gasparri chiedono, da ieri mattina, di inviare gli ispettori del guardasigilli Carlo Nordio a Brescia, tanto per dire.

COSTITUZIONE
E tanto per rispondere il procuratore Prete fa sapere che quelle richieste «tese a verificare tale assunto ci lasciano assolutamente tranquilli, essendo tutti i magistrati dell’ufficio sicuri di avere sempre agito nel rispetto della legalità, secondo i parametri fornitici dalla Costituzione e dalla legge». D’accordo. Tuttavia, signori, dobbiamo anche raccontarcela tutta: e cioè dirci che i tribunali fanno giustizia (e non vendetta) e che un conto è la richiesta di un pm e un conto è una sentenza e un altro ancora è un processo, anche se quelle frasi («condotte episodiche maturate in un contesto culturale che si è rivelato intollerabile» perché lei ambiva a «canoni marcatamente occidentali»: e che male c’è?) pesano come macigni. Non solo in aula, anche fuori. Punto e a capo. Meglio.
Punto e basta.

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