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Giovanni Toti, la vendetta della sinistra: togliere la Liguria a chi sa giuidarla meglio

Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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Giustizia è sfatta. Il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di Giovanni Toti di essere rimesso in libertà. C’era da aspettarselo. Le carriere non sono separate, il luogo di lavoro è il medesimo, e così “toga non morde toga”. Il giudice delle indagini preliminari assevera diligentemente le motivazioni sulla base delle quali la Procura chiede gli arresti e quello del Riesame, al piano di sopra o di sotto, fa lo stesso. Il fatto che a Genova siano, il primo la figlia di una ex consigliera comunale di Margherita e Pd, tuttora fervente e fattiva militante malgrado la ragguardevole età, e il secondo una storica toga rossa di Magistratura Democratica, è nota di colore più che di cronaca.

Toti non ha contestato i fatti che gli sono stati addebitati, ma si è comunque proclamato innocente, perché ha dichiarato di aver agito nell’interesse della Liguria e che essi non costituiscono reato ma sono semplicemente il suo modo di fare politica. Questa per l’avvocato sarebbe una delle ragioni per liberarlo, non sussistendo il pericolo che inquini prove che ha ammesso.

 

 

 

Per tenerlo agli arresti domiciliari tuttavia, il giudice del Riesame ribalta la difesa in una sorta di auto-accusa. Il governatore, è scritto nel provvedimento che conferma la custodia cautelare, non può essere liberato perché potrebbe «reiterare condotte criminose, confidando nel malinteso senso di tutela del bene pubblico che lo ispira»; d’altronde, «in quanto non ha compreso appieno la natura delle accuse», deve restare agli arresti, in quanto, se tornasse padrone di agire, «non è pensabile che gli inquirenti gli spieghino ogni volta che cosa è lecito e che cosa non lo è».

Insomma, l’uomo che la Procura, per incastrarlo, ha dipinto come il signore incontrastato e l’anima nera della Liguria viene ora tratteggiato, per stringergli ancora di più il cappio intorno al collo, come una sorta di incapace di intendere e volere.

 

 

 

IL GIOCO DELLE PARTI

In realtà, qui tutti hanno capito e fingono di non aver capito per tenere la parte. In primo, il giudice del Riesame. Il magistrato dà il contentino di far cadere il presupposto del pericolo dell’inquinamento delle prove, rendendosi conto perfino lui che «non ci sono concreti comportamenti dell’imputato che lo giustifichino» e ormai di tempo ne è passato così tanto che «le acquisizioni istruttorie si sono notevolmente incrementate e non si può fondare il pericolo solo sul ruolo apicale dell’indagato».

Poi però, il medesimo ignora i rilievi di Sabino Cassese, uno dei più grand giuristi italiani, che ha allegato agli atti dell’inchiesta un parere nel quale sostiene che gli arresti di Toti sono incostituzionali, perché troppo protratti nel tempo e perché c’è una sproporzione tra le esigenze degli inquirenti e il diritto dei liguri a essere governati e del governatore a farlo.

«Non esiste nell’ordinamento un’immunità cautelare per chi riveste cariche elettive» è la dotta replica del magistrato di provincia al giudice costituzionale, e poi, prosegue la lezioncina, «il mandato popolare conferisce all’eletto la rappresentanza degli elettori e solo di riflesso i pubblici poteri e le pubbliche funzioni». Insomma, per tutelare il diritto costituzionale di voto, attivo e passivo, conta che resti la carica fino a non intervenute e auspicate dimissioni -, non che l’indagato possa svolgerla, tutelando così fattivamente il diritto costituzionale alla buona amministrazione.

 

 

 

Per quello, secondo il giudice, sono sufficienti rapsodici contatti dell’indagato con la propria giunta e i politici d’area, che la magistratura si impegna a continuare a garantire.

Quello che è invece Toti ad aver capito benissimo, ma si rifiuta di accettare, e non può denunciare perché ne sarebbe pregiudicata la sua difesa, è che lui è vittima, anzi bersaglio, di un processo politico. Era diventato troppo potente in Liguria; per giunta, con la grave colpa di non dover dire grazie a nessuno di quelli che contano veramente. E ha fatto crescere troppo la Liguria, trasformandola in una torta indigesta per una sinistra che non può più tollerare di aver fatto rinsecchire per decenni una gallina dalle uova d’oro.
La diga, l’alta velocità, il tunnel sotto il porto, i supermercati che aprono, gli ospedali progettati, il raddoppio del porto: c’è da passare all’incasso per il lavoro impostato dal governatore, bisogna strappargli le medaglie prima che possa mettersele sul petto, bisogna stroncare la parabola dell’uomo del Ponte Morandi, quello che ricostruisce dove gli altri distruggono.

È sempre stato solo questo il tema degli arresti. Toti va fermato per farlo dimettere, perché la Regione torni in gioco, o meglio a sinistra, dietro l’onda di un processo infamante, che non è importante quanto sia fondato o come si concluda. Il giudice non lo scrive ma si capisce bene. L’inchiesta ha tre filoni: corruzione elettorale, corruzione per la concessione del Terminal Rinfuse e corruzione per il cambio di destinazione di parte di una spiaggia. Allo stato attuale non sono previste votazioni, il Terminal è stato assegnato, peraltro non dalla Regione ma dal Comitato Portuale, e in più oggi il porto è commissariato, e la vicenda del lido è tramontata subito: non c’è una sola possibilità che si reiteri nessuno dei reati contestati.

 

COSA C’È IN BALLO

La colpa davvero addebitata a Toti però è governare; o meglio, come governa. «Si comporta più come un amministratore di una società privata che come un amministratore pubblico», è scritto nella sentenza, come se un giudice potesse farsi arbitro della qualità delle decisioni politiche di un eletto. «Ammette i fatti ma non il loro valore giuridico di reato» e quindi è inaffidabile, come se non dovesse essere un giudizio e non una procura a decidere del valore giuridico di un fatto.

Tra le tante cose che il palazzo di Giustizia genovese non perdona al governatore, c’è quella di non aver voluto aprire il processo prima di essere rinviato a giudizio, limitandosi a contestare i presupposti giuridici dell’arresto e non entrando nel merito delle accuse. Imperdonabile anche non avere accettato l’avviso di garanzia e gli arresti come una condanna preventiva, e quindi non essersi dimesso. C’è il destino della Liguria, nella vicenda Toti, ed è importantissimo, perché è la Regione dove andranno più fondi del Pnrr e i suoi successi in una terra storicamente rossa non possono entrare nella bacheca del centrodestra: sarebbe la prova che la sinistra non sa governare. Ma c’è anche il destino della magistratura: se continuerà a essere un potere sovraordinato alla politica, capace di fare e disfare le carriere degli eletti sulla base di provvedimenti temporanei, non avvalorati da sentenze passate in giudicato o, nel caso del governatore, anche di semplici sospetti, o se invece tornerà a essere un potere autonomo ma a pari livello rispetto agli altri; e soprattutto, subordinato alla Costituzione

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