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Giovanni Toti, si muove il Csm: "Contro di lui motivazioni abnormi"

Pietro Senaldi
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Qualcuno si è svegliato a Roma. Le consigliere laiche del Consiglio Superiore della Magistratura, Claudia Eccher e Isabella Bertolini, hanno chiesto l’apertura di una pratica per verificare se sussistano, a carico dei magistrati componenti il collegio del Riesame «profili di illecito disciplinare per abnormità, illogicità della motivazione ed emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dai casi consentiti dalla legge». In effetti la parabola giudiziaria di Giovanni Toti sta sempre più diventando un caso che sconcerta chi lo osserva con occhi consapevoli e getta discredito sulla magistratura. Più che un processo, che peraltro non c’è ancora, il tutto sembra un braccio di ferro tra una Procura che non vuole rinunciare al ruolo che si è data, e che la Costituzione non le riconosce, di padrona dei destini dei politici, e un politico determinato a difendere il diritto di tutti gli indagati a non mollare, attraverso l’esercizio del proprio.

IL PARADOSSO

«La vicenda di Giovanni Toti ormai sta creando una tensione politica all’interno dell’amministrazione regionale insensata. Pur di tenerlo agli arresti, i giudici hanno sostenuto in pratica che il presidente della Liguria è incapace di intendere e di volere, non sa distinguere se commette un reato oppure no. Ma è una valutazione personale, non suffragata da diagnosi specifiche, che a questo punto può essere usata per privare della libertà chiunque: ti arresto perché penso che tu, inconsapevolmente, possa commettere reati». Il viceministro Edoardo Rixi, coordinatore della Lega in Regione, si è sempre schierato, con tutto il centrodestra, dalla parte di Toti.

 

 

 

Ma dopo le valutazioni del giudice del riesame ravvisa un salto di qualità nel braccio di ferro tra la procura e il governatore. «Non si può costringere una persona a scegliere tra il diritto di difendersi liberamente e quello di governare. Per tornare in libertà, Toti deve fare il passo indietro, ma questo significa sciogliere la Regione, alla quale la Procura peraltro non contesta alcun illecito. Se vuole invece continuare a restare in carica, come la Costituzione gli garantisce, il presidente deve di fatto governare per interposta persona e rinunciare a ogni genere di agibilità. $ paradossale, non si può chiudere una legislatura anticipatamente per dei sospetti su un singolo indagato. Il fatto che finisca oppure no una legislatura non può dipendere dalla strategia difensiva scelta dall’indagato. La sinistra ha indetto una manifestazione per chiedere le dimissioni di Giovanni, perché paralizzerebbe la Regione; ma a me pare che a paralizzarla sia la magistratura, che tiene agli arresti una persona quando ne sono venuti meno i presupposti, tanto che si è arrivati perfino a sostenere che un presidente non va rimesso in libertà perché non conoscerebbe la differenza tra ciò che è legale e ciò che è illegale».

Conte, Schlein e compagni progettano di darsi appuntamento a Genova per una piazzata anti-Toti, per sollecitarne le dimissioni, ma forse dovrebbero riflettere sul ruolo di suffragetta della superiorità della magistratura sulla politica al quale, con un gesto tale, la sinistra confermerebbe ormai di essersi definitivamente votata. Basta un sospetto, un avviso di garanzia con un giudice compiacente che firma gli arresti, e si può decidere il destino di una Regione, passare sopra il voto di milioni di cittadini.

Per questo vuol scendere in piazza la sinistra. In realtà, l’obiettivo è sfilare la Liguria la centrodestra, ma l’effetto sarebbe mettere la testa anche del prossimo governatore, di qualunque parte politica sia, sotto la mannaia del signor Procuratore di Genova, libero di condannare alle dimissioni, estorte mediante pr ivazione della libertà, ancor prima che inizi un processo. Questo il centrodestra lo ha capito benissimo, e in coro difende il governatore, la propria maggioranza e tutta la politica. Il più duro è il vicepremier Matteo Salvini, che lunedì sarà a Genova e che Toti ha chiesto ai magistrati di poter incontrare, il quale ritiene il rifiuto da parte del Riesame della revoca degli arresti come «l’ennesimo sfregio a tutti i liguri, e non solo al presidente».

Ma è tutta la coalizione a reagire. Il capogruppo azzurro alla Camera, Paolo Barelli, invita Toti «alla resistenza», persuaso che «l’ipotesi di reiterazione del reato a cui si aggrappa la magistratura per confermare gli arresti sia una forzatura» e che «il presidente stia subendo una totale ingiustizia». «Non è Toti che intralcia l’attività della Regione perché non si dimette», conclude il dirigente di Forza Italia, «ma è il fatto che resti agli arresti malgrado si stiano appannando sempre più i presupposti della sua detenzione». Traspare comunque in tutta la maggioranza la determinazione a fare quadrato intorno al governatore e a non farsi sfilare la Regione da un blitz delle Procure non suffragato da sentenze.

«Ci rimettiamo alle sue decisioni, ma non ci sono ragioni perché si dimetta: la Regione ha dimostrato di poter andare avanti con efficienza anche con il governatore agli arresti», spiega il capogruppo in Senato di Fratelli d’Italia, Lucio Malan. Dalla sua lunga esperienza in Parlamento, il senatore rileva come «il fatto di essere un politico ormai è un’aggravante in un processo, basta quello perché il pm chieda gli arresti dell’indagato, come se la carica elettiva fosse una precondizione a commettere reati».

 

 

 

CONDANNATO SENZA SENTENZA

E comunque in serata arriva una lettera (che Libero pubblica qui a fianco; ndr) nella quale Toti specifica di sognare le dimissioni come gesto liberatorio a 360 gradi, ma che non le darà perché «spero ancora che giustizia e politica possano rispettare i propri ruoli e le proprie prerogative e che, mentre i pm legittimamente indagano, la politica possa, con le sue regole e i suoi riti, fare le proprie considerazioni per il bene comune». $ la rivendicazione da parte del governatore non solo della legittimità di quanto fatto ma della scelta di non mollare come difesa dell’autonomia della politica dalle Procure. «Ho capito di cosa mi si accusa», replica il presidente al verdetto del giudice Massimo Cusatti, «solo non sono d’accordo, il che non fa di me un infermo di mente», è l’ironia del condannato senza sentenza.

Lo scontro di vedute ormai è totale e forse davvero la cosa migliore è portare la vicenda lontana dai livori genovesi, nei palazzaccio romano della Cassazione, alla quale Toti ricorrerà a breve per invocare nuovamente libertà. Si deciderà a settembre, ormai. «L’unica colpa di Giovanni», commenta perfettamente sintonico Maurizio Lupi, «è non essersi dimesso e aver voluto fare una battaglia di libertà per tutti». «Gli arresti dovrebbero essere una misura eccezionale», chiosa il leader di Noi Moderati, il partito di Toti, «qui invece sembrano voler avere uno scopo pedagogico, di far pentire l’indagato di quanto fatto, ma la giustizia è un fatto legale non ordalico».

Nuovo appuntamento a settembre quindi, sempre che la Procura non decida prima di chiedere il giudizio immediato, che congelerebbe le misure cautelari, quindi gli arresti. Un’ipotesi ventilata nelle scorse settimane, forse però solo come minaccia per indurre Toti alle dimissioni. Ma le minacce hanno il difetto che, una volta attuate, non spaventano più. Se parte il processo con il presidente congelato agli arresti, perché mai dovrebbe dimettersi a quel punto? 

 

 

 

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