I lettori di Libero arrivano preparatissimi (e tutt’altro che rassegnati) a un momento tanto spiacevole quanto prevedibile, starei per dire a un grande classico, a un caso per giunta - di “export” in Ue di una specialità italiana: la magistratura che si trasforma in contropotere, in attore politico, in titolare (anomalo e abusivo) di un ruolo di contrapposizione a Governi e Parlamenti.
La decisione di ieri della Corte di Giustizia dell’Ue ha in sé una conseguenza eversiva dal punto di vista della separazione dei poteri: e cioè l’assegnazione al giudice nazionale della possibilità (anzi: perfino del dovere!) di disapplicare le classificazioni relative ai paesi sicuri o insicuri qualora il giudice non le ritenga opportune. Peggio ancora: quando, ben aldilà della specifica situazione individuale di un richiedente asilo, non ci sia - ad avviso del magistrato! - protezione per tutta la popolazione di un certo paese. Scusate la brutalità: ma siamo impazziti? Vogliamo davvero tollerare che in sede di “giustizia europea” si assegni a un magistrato una funzione del tutto arbitraria-discrezionale-politica?
Dev’essere forse un magistrato ad aprire una crisi diplomatica e politica con un paese terzo, classificandolo de facto come una specie di Stato-canaglia? E ancora: lasciamo che la politica migratoria di un paese la decidano le toghe anziché i Governi e i Parlamenti?
E allora, chiaritala pars destruens (ovvero ciò che non convince della decisione della Corte Ue), passiamo alla pars construens (ovvero ciò che è opportuno provare a fare): la battaglia va combattuta anche e soprattutto in Ue, come il nostro governo sta facendo da mesi, proprio per evitare che un’anomalia del genere possa ripetersi.
Serve dunque, come l’esecutivo italiano chiede giustamente da tempo nell’ambito del futuro Patto Ue su immigrazione e asilo, la predisposizione di una lista unica europea dei “paesi terzi sicuri”, quelli cioè dove i migranti irregolari privi di diritto d’asilo possano essere rimandati: a quel punto, Corte o non Corte, sarebbe abbastanza difficile per una singola istanza giudiziaria nazionale contestare un elenco approvato da 27 membri dell’Ue. A Bruxelles, invece di insistere con le follie del Green Deal, farebbero bene ad accelerare su questo, perché attendere troppi altri mesi rischia di essere pericoloso.
Portiamoci subito avanti con il lavoro: davanti a una svolta del genere, che sarebbe di chiaro ed evidente buon senso, c’è un solo governo - estremista pro immigrazione incontrollata - che potrebbe opporsi, ed è la Spagna di Pedro Sanchez. È necessario che gli altri governi (inclusi alcuni esecutivi di sinistra, ma più ragionevoli) inducano Madrid a non fare le barricate. O altrimenti sarà necessario un limpido scontro politico davanti ai cittadini europei, e ci penseranno direttamente gli elettori spagnoli ad affossare un governo già traballante e screditato.
Amici lettori, la posta in gioco è altissima. E lo è anche dentro i confini italiani. Sinistra e magistrati militanti sono a un punto di disperazione: sanno perfettamente di giocare una partita perdente sul piano del consenso. Ogni cittadino vede che il governo sta provando ad arginare l’immigrazione clandestina, mentre opposizioni e parte dei giudici giocano allo sfascio, rischiando di spalancare le frontiere.
Occhio però: saranno pur disperati e senza consenso, ma puntano a far venire giù tutto. I bersagli sono chiari: il governo, la maggioranza, i cittadini che non votano “bene”. E quali i temi in gioco? Per un verso l’immigrazione, e per altro verso la giustizia (nella prospettiva del referendum sulla riforma che è in via di approvazione).
Prepariamoci dunque a una battaglia decisiva, da condurre sia qui in Italia sia a Bruxelles. E in quella battaglia si regoleranno – in un senso o nell’altro – i conti di un qualche decennio. Altro che “abbassare i toni”: estote parati, siate pronti.