OPINIONE

Caso-Almasri, dallo Stato di diritto ora stiamo arrivando allo Stato giudiziario

Le carte dimostrano che siamo di fronte a una "rivoluzione permanente" della magistratura che va avanti da oltre 30 anni. E stavolta ha fatto un altro salto di qualità
di Mario Sechigiovedì 7 agosto 2025
 Toghe

 Toghe

5' di lettura

A che punto siamo con il caso Almasri? Ho letto le carte del Tribunale dei ministri e la memoria difensiva del governo, il risultato è che si è rafforzata in me la convinzione che siamo di fronte a una «rivoluzione permanente» della magistratura che va avanti da oltre 30 anni e rispetto alle origini ha fatto un altro salto di qualità: ieri con Mani Pulite ha cancellato un sistema dei partiti, ma senza poter arrivare al controllo totale della macchina dello Stato; oggi con le sentenze delle Corti (di varia natura e livello) ha invaso in maniera capillare l’amministrazione, occupato lo spazio d’azione del governo e ristretto a tal punto i confini della politica da minacciarne l’esistenza. La storia dell’espulsione di Almasri in Libia è un caso esemplare, ma è solo l’ultimo di una lunga sequenza di atti che mostrano il fil rouge della trasformazione dallo Stato di diritto allo Stato giudiziario. L’inchiesta su Almasri non sarebbe mai dovuta iniziare (e infatti la genesi è del tutto anomala, parte dalla denuncia di un avvocato specializzato nella gestione di pentiti che “segnala” alla Procura di Roma gli articoli sulla vicenda di un giornale di sinistra, Repubblica) e lo stesso atto d’accusa a dimostrare ampiamente che siamo di fronte a un’interpretazione arbitraria delle norme (prima fra tutte quelle che regolano i rapporti tra la Corte Penale Internazionale e lo Stato italiano) e a una ricostruzione a dir poco fantasiosa del funzionamento del governo. L’indagine è talmente abnorme da raggiungere il picco quando il Tribunale dei ministri nega al sottosegretario Alfredo Mantovano di andare a testimoniare.

Mantovano non è un passacarte qualsiasi, è il motore della macchina di Palazzo Chigi, l’uomo che ha la delega sui Servizi Segreti e autorizza i voli di Stato della flotta della Repubblica Italiana che viene utilizzato per gli scopi previsti dalla legge (di cui il rientro di Almasri in Libia fa parte, non c’è alcuna distrazione del jet dai fini per i quali è in servizio). Basta leggere gli atti per rendersi conto del ruolo del sottosegretario Mantovano, è lui che consulta e viene consultato, è lui che convoca le riunioni, è lui che dispone le azioni da intraprendere e tutto questo lo fa in coordinamento con i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, con l’Intelligence e la Polizia, con la premier Giorgia Meloni che non è solo informata, ma partecipa al processo decisionale e ha l’ultima parola. Non ascoltare la testimonianza di Mantovano equivale a creare un “buco nero” nell’inchiesta, sottrarre la persona più informata, agli atti manca la fonte più preziosa per l’indagine, per sapere, per capire, per arrivare alle giuste conclusioni e dare all’opinione pubblica - perché questo è diventato prima di tutto un processo mediatico - un quadro chiaro e completo dell’accaduto. Forse volevano evitare che Mantovano, magistrato di Cassazione, smontasse l’inchiesta? L’esito è abbagliante nelle sue intenzioni e conclusioni: si vuole Mantovano imputato, ma non testimone.

Almasri, l'affondo di Giorgia Meloni: "Disegno politico delle toghe. Io capo del governo, non un Conte qualsiasi"

"Io vedo un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano ...

Siamo solo all’inizio del tormentone. Basta seguire il tam tam delle notizie, i bisbigli che diventano lanci d’agenzia che preparano il terreno, per scorgere il prossimo capitolo del “feuilleton” giudiziario: si vuole mettere alla graticola il capo di gabinetto del ministro Nordio, Giusi Bartolozzi, indicandola come la regista di un «disegno criminoso» che non esiste perché è semplicemente il lavoro quotidiano dei governi, il mestiere della politica di cui la Bartolozzi è un elemento importante al servizio delle istituzioni. Non coperta da immunità (ma secondo il costituzionalista Cesare Mirabelli «è ragionevole che chi concorra, cooperi e partecipi all’attività di governo e, nella fattispecie, di un ministero, nel momento in cui svolga un’attività che ha la stessa finalità e funzione in collaborazione con il ministro, sia coperto come il ministro nell’interesse dello stato costituzionale»), la Bartolozzi è un obiettivo facile da colpire, lo scopo è quello ovviamente di affondare Carlo Nordio, guarda caso il ministro che ha firmato la separazione delle carriere dei magistrati. Ecco perché Giorgia Meloni ha detto ieri nell’intervista al Tg5 «che la riforma della giustizia procede a passi spediti e ho messo in conto eventuali conseguenze».

QUANTE STRANEZZE...
Il caso Almasri è un giallo con la trama scoperta dalle prime righe: per 12 giorni ha fatto il turista in Europa del tutto indisturbato, vola da Tripoli a Londra, poi passa a Bruxelles, assiste a una partita di calcio in Germania e si fionda in Italia, a Torino, per vedere un incontro della Juventus. Con un tempismo sospetto, la Corte chiede l’arresto di Almasri quando è in Italia, «alle ore 22:55 di sabato 18 gennaio 2025, a distanza di tre giorni da un controllo nei confronti di Njeem in Germania (a Bonn)». Non è un dettaglio, perché l’Italia è la punta avanzata in Europa della lotta all’immigrazione illegale, ha provato a adottare metodi nuovi (i centri in Albania) per contrastare il traffico di esseri umani, ha cambiato l’orientamento della Commissione Ue (tutti gli Stati europei hanno dato una stretta agli ingressi e ai controlli alle frontiere), ha scardinato il potere politico (e giuridico) di una corrente ideologica che prevede «confini aperti» e legislazioni dalle maglie larghe, di cui la magistratura è ispiratrice con le sue sentenze e interpretazioni in Europa (basta leggere l’ultima acrobatica sentenza della Corte europea sui “Paesi sicuri” per le espulsioni dei migranti) e in Italia con i tribunali impegnati in una sistematica opera di demolizione del programma del governo Meloni sull’immigrazione.
Quando la premier dice di vedere «un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano i temi dell’immigrazione come se in qualche maniera ci volesse frenare la nostra opera di contrasto all’immigrazione illegale», si riferisce a una sequenza di decisioni che si nutrono di una cultura giuridica che è diventata un’ideologia, detta la linea alla politica, ne occupa lo spazio e alla fine la sostituisce espropriando i governi del loro potere. D’altronde non c’è da stupirsi più di tanto, visto che la storia nasce fin dall’inizio con un “errore” incredibile: la richiesta della Corte penale internazionale per l’arresto di Almasri è viziata in maniera grave perché non viene sottoposta al vaglio- come previsto dalla legge - del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Il risultato di tanta perizia della Corte è che il libico finisce in cella, il Guardasigilli non firma il provvedimento nelle 48 ore previste e l’uomo viene scarcerato. Quindi Almasri viene espulso dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per ragioni di sicurezza nazionale che sono ben dipinte in un documento dell’intelligence italiana.

I MOTIVI DELL’ESPULSIONE
Cosa dice? È la memoria difensiva del governo a rivelarlo in sintesi: Almasri viene espulso perché c’è un forte «rischio di rappresaglie nei confronti della rappresentanza diplomatica italiana, del personale italiano presente a Tripoli e dei connazionali in transito presso l’aeroporto di Mitiga». Il documento inoltre spiega la minaccia costituita dalle milizie armate della «Rada Force che ha il controllo completo dell’aeroporto internazionale Tripoli-Mitiga, del carcere di Mitiga e dei principali siti sensibili della Capitale, nonché gestisce le attività doganali e navali del porto commerciale». Sono milizie che «controllano la sicurezza delle aree costiere «ad est di Tripoli (Sabratha e Zawyia) che hanno un ruolo fondamentale nel contrasto ai flussi migratori in partenza dalla Libia». Di fronte a questi fatti - dettagliati dall’intelligence italiana che ha fonti di prima mano e un record di operazioni condotte con successo- il governo ha agito guardando la bussola della sicurezza nazionale, mentre la magistratura ha perso la bussola.