È partita la macchina per il sostegno al sì al referendum sulla separazione delle carriere. E vede in campo iniziative di diversa ispirazione culturale. In questo senso si colloca la lettura in chiave riformista espressa dal Comitato “Giuliano Vassalli”, promosso da Salvo Andò, Claudio Signorile e Fabrizio Cicchitto.
L’iniziativa, dunque, si riallaccia ai principi ispiratori del garantismo liberale e socialista che furono alla base della riforma del processo penale del 1989, su iniziativa di Giuliano Vassalli, allora ministro della Giustizia. Quel profondo cambiamento di sistema, infatti, segnò il passaggio dal modello inquisitorio a quello accusatorio. «La separazione delle carriere», sottolineano i promotori, «è il naturale completamento di quel percorso, perché solo un giudice realmente terzo può garantire al cittadino un processo equo». Il Comitato evidenzia che la riforma voluta dal centrodestra al governo non rappresenta uno scontro tra destra e sinistra, ma una conquista di civiltà giuridica. L’obiettivo è dare ai cittadini anche la piena percezione di una giustizia imparziale e indipendente dalle logiche corporative.
GARANTISMO
«Non si tratta di un affronto politico né di un vulnus alla Costituzione», si legge ancora nel comunicato di lancio, «ma del completamento di una stagione riformista che affonda le radici nella cultura del garantismo democratico e nella stessa Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Domani verrà presentato il Comitato per il Sì delle Camere penali e Maurizio Lupi ha annunciato la nascita di quello su impulso di Noi Moderati. Intanto, alla Camera dei deputati si muovono gli step formali per indire la consultazione, ed è stata attivata la raccolta firme.
Come comunicato in Aula dal vicepresidente Giorgio Mulè, il 31 ottobre i capigruppo di maggioranza Galeazzo Bignami, Riccardo Molinari, Paolo Barelli e Maurizio Lupi hanno presentato la richiesta di referendum. Per l’opposizione invece ci sono Simona Bonafè (Pd), Carmela Auriemma (M5S) e Marco Grimaldi (Avs). Ogni schieramento ha anche indicato i delegati per il deposito delle firme in Corte di Cassazione. Per la maggioranza, ci sono Sara Kelany, Enrico Costa e Simonetta Matone. Per l’opposizione invece sono stati scelti Chiara Braga, Riccardo Ricciardi e Luana Zanella. Intanto, ferve il dibattito politico.
Ieri il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani, intervenendo a Rai Radio1 ha ribadito che con il referendum «non si tratta di fare una sfida destra-sinistra. La riforma della giustizia è un punto fondamentale del programma di Forza Italia, era nei progetti di Berlusconi, è un punto cardine del programma elettorale del centrodestra, con il quale abbiamo vinto le elezioni». Quanto alle dichiarazioni in merito di Marina, primogenita del fondatore di Forza Italia, Tajani osserva: «La famiglia Berlusconi è impegnata, perché ha vissuto sulla propria pelle che cosa significa una giustizia ingiusta, ma non so se vorranno impegnarsi direttamente» nella campagna sulla consultazione.
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Nel frattempo, anche nel campo delle opposizioni si cominciano a contare delle prese di posizione pro sì. Quella del leader di Azione Carlo Calenda, secondo il quale la legge approvata esprime “una riforma giusta, perché libera il Csm dal sistema Palamara e non mette i pm sotto il controllo della politica». E poi il deputato di +Europa Bendetto della Vedova: «È una riforma liberale, radicale e pannelliana.
Non è perfetta, ma serve a garantire un giudice veramente terzo. L’opposizione del centrosinistra è politica, non di merito. Non possiamo chiuderci a riccio sulle posizioni della magistratura organizzata». Il riferimento è chiaramente all’Anm verso cui il Pd e gli altri partiti della coalizione stanno dimostrando totale subalternità. Esprime invece molta cautela la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi (i renziani si sono astenuti in Parlamento) In un’intervista al programma radiofonico “Un giorno da Pecora”, Boschi ha spiegato: «Stiamo valutando e discutendo. La separazione delle carriere in sé è una cosa buona, ma il testo del governo Meloni rischia in alcuni punti di essere inutile o produrre l’effetto opposto. È una scelta importante su cui dobbiamo riflettere seriamente».




