Matteo Salvini è assolto, la Cassazione ha chiuso il caso, ma quello del processo politico che non avrebbe mai dovuto celebrarsi è aperto. Un ministro che svolge il suo lavoro dentro i confini della legge per difendere i confini dello Stato - e viene trascinato sul banco degli imputati per anni è una macchia nel sistema giudiziario che l’assoluzione non cancella.
Le accuse a Salvini dovevano essere archiviate subito, ma il caso Open Arms serviva a orchestrare una campagna contro la Lega - che allora viaggiava al 30% dei consensi - e il suo leader, una manovra che era iniziata con lo scontro tra Conte e Salvini sulla politica migratoria (stabilita nel patto di governo tra grillini e leghisti), un cortocircuito tra premier e ministro dell’Interno, che avrebbe poi condotto a un ribaltone (dall’esecutivo giallo-verde a quello giallo-rosso) con Conte sempre a Palazzo Chigi, i pentastellati ancora al comando e il Partito democratico al posto della Lega.
Una manovra di palazzo intrecciata a un assalto giudiziario, un classico degli ultimi 30 annidi storia italiana. Salvini è stato imputato e presunto colpevole per la gran parte della stampa italiana, trasformato in un nemico pubblico, ha subito non un giusto processo, ma una gogna che serviva a cancellarlo dalla scena politica. Il ricorso «per saltum» in Cassazione da parte dell’accusa è stato l’ultimo colpo di coda dei pm di Palermo per evitare il collasso anche in appello di un’inchiesta che non stava in piedi. La magistratura dal caso Salvini esce doppiamente sconfitta: ha invaso il campo della politica e confermato quanto sia importante votare Sì al referendum sulla riforma, va (ri)fatta Giustizia.




