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La disoccupazione con Donald Trump crolla a livelli record: le cifre che fanno imbestialire i liberal

Glauco Maggi
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Un altro record e' stato realizzato da Trump nell'economia reale degli Stati Uniti. Il rapporto governativo sui posti di lavoro in aprile ha registrato il calo del tasso di disoccupazione dal 4,1% al 3,9%, un livello che non si vedeva dal 2000 e che ha sorpreso gli analisti, che pure avevano preventivato un calo, ma solo al 4%. I posti di lavoro creati nel mese sono stati 164mila, il che prosegue la tendenza positiva alla crescita in corso da anni, sia pure ad una velocita' lievemente piu' bassa del dato atteso dagli economisti per aprile, 195mila. Il ministero del Lavoro, nello stesso rapporto, ha pero' corretto all'insu', per 30mila unita', il numero dei posti calcolati precedentemente per febbraio e marzo, e cio' porta la media mensile nel 2018 ad un robusto livello di 200mila unita', che e' significativamente piu' sostenuto della media di 182mila posti nel 2017. In dettaglio, i lavoratori aggiunti al singolo settore manifatturiero sono stati 24mila, che seguono i 22mila di marzo e i 31mila di febbraio. Cio' conferma un trend positivo che non si vedeva da decenni, e che e' il risultato dello sforzo specifico, promesso da Trump in campagna elettorale, di rivitalizzare le fabbriche, invertendo la ‘morte annunciata' da molti economisti per questo comparto. Se e' vero che l'economia degli Stati Uniti e' dominata dai servizi, dall'high tech, dal software, dai media, dal turismo, dall'immobiliare (e dall'agricoltura, che non viene considerata nelle statistiche del Lavoro), la Casa Bianca con la sua politica di sostegno ai “colletti blu” sta raggiungendo risultati su cui nessuno avrebbe scommesso due anni. E che ovviamente non sarebbero mai stati ottenuti, e del resto neppure cercati, da una presidenza Clinton. Hillary aveva preannunciato che avrebbe chiuso le miniere di carbone, per esempio, e non avrebbe di sicuro promosso la legge dei tagli fiscali alle corporation e ai privati che sta convincendo le aziende a reinvestire negli USA, come stanno gia' facendo le big dell'auto, dalla americana FCA (Fiat&Chrysler) alle case europee e asiatiche. FCA ha annunciato in gennaio 1 miliardi di dollari d'investimento in un impianto in Michigan che creera' 2500 nuovi posti. Volkswagen ha detto che investira' 3,3 miliardi in Nord America per lanciare nuovi modelli, specificando in marzo che spendera' 340 milioni per una nuova linea di produzione di SUV in Tennessee. Hyundai-Kia investira' 3,1 miliardi per una nuova linea di berline in Alabama, stato dove anche Toyota e Mazda hanno piani di nuova produzione per 1,6 miliardi. L'aver abbassato dal 35% al 21% l'imposta sugli utili delle imprese non e' solo un forte argomento per le ditte americane a non delocalizzare gli impianti, e' anche un fattore forte di attrazione per imprenditori stranieri che sono cosi' incentivati ad aprire fabbriche in America. Il tasso della “forza-lavoro”, che registra la partecipazione attiva degli americani in generale all'universo del mondo del lavoro, e' calato al 62,8% in aprile, un dato vicino a quello degli Anni '70 quando le donne cominciarono ad abbandonare la condizione di casalinghe. In aprile i dati del Lavoro mostrano che 236mila persone hanno abbandonato il loro impiego, lasciando agli imprenditori un pool di lavoratori disponibili piu' ristretto. Cio' aiuta a spiegare la caduta del tasso di disoccupazione al 3,9%, che e' tecnicamente un livello di pieno impiego e la premessa per future retribuzioni piu' elevate. Finora si vede solo che c'e' un trend di crescita, ma a rilento: in aprile la paga oraria media e' aumentata di 4 centesimi, portando l'aumento su base annua al +2,6%, leggermente sopra il livello dell'inflazione. di Glauco Maggi

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