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Ruby, la commissaria Iafrate, l'anti-Boccassini

Il commissario di polizia Giorgia Iafrate

Trent'anni, avvenente, fare deciso: con le sue dichiarazioni ha smontato il teorema accusatorio di Ilda La Rossa

Giulio Bucchi
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  Giorgia Iafrate, la commissaria presente in questura quella notte fra il 27 e il 28 maggio 2010, con Ruby fermata per furto. Era lei responsabile della pratica, e fu chiamata dal dirigente Pietro Ostuni che l'avvertì dell'intervento dell'allora premier Silvio Berlusconi e della possibilità che quella giovane fosse parente di Mubarak. E, alla fine, affidò Ruby alla consigliera regionale del Pdl in Lombardia Nicole Minetti. E' stata lei, Giorgia Iafrate, la grande protagonista in aula ieri a Milano nel processo che vede il Cavaliere imputato per prostituzione minorile e concussione. Con le sue dichiarazioni ha smontato il teorema accusatorio della pm Ilda Boccassini. La commissaria si difende - La Iafrate, trent'anni e davvero avvenente (altro che bunga bunga), è stata interrogata da un mostro sacro della Procura, la Boccassini appunto. Difendendo con circostanze e personalità il proprio operato. E sostenendo che invece era stato fatto tutto quel che bisognava fare, senza concussioni di sorta e nell'interesse della minore. "Mi disse che talvolta si spacciava come nipote di Mubarak ma in realtà non lo era", ha detto riferendosi proprio a Ruby. E però la Boccassini la incalzava soprattutto in ordine alle modalità d'identificazione e di affidamento, per l'appunto secondo i pm condizionate da Berlusconi. La Iafrate nega. Ed ecco le sue argomentazioni. Primo: il magistrato minorile Annamaria Fiorillo aveva disposto di trovarle una sistemazione in un centro d'accoglienza ed eventualmente trattenerla in questura? «Era notte, non abbiamo trovato un centro disponibile e m'è sembrato più giusto farle passare la notte in un letto piuttosto che in questura» (e l'altro dirigente poi ascoltato, Ivo Morelli, ha confermato che «cerchiamo di evitare di far passare al minore la notte in questura, e spesso gli stessi pm dispongono in tal senso»). E poi, prosegue la Iafrate, il pm fornisce sì l'indicazione, ma è la pubblica autorità che decide. Senza contare che l'affidataria era consigliere regionale, persona dunque ai suoi occhi degna di fiducia: «Nell'ambito dei miei poteri di pubblico ufficiale, di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in questura in condizioni non sicure o affidarla ad un consigliere regionale eletto dal popolo, ho ritenuto di seguire quest'ultima possibilità».   L'accusa di Ilda - L'accusa le fa notare che poi Ruby non è andata a casa della Minetti ma dalla Conceicao, prostituta brasiliana che ne gestiva gli “appuntamenti”. E però questa circostanza non è certo addebitabile ai funzionari della questura. E poi: perché nel verbale  in seguito redatto dalla Iafrate non compare alcun riferimento alla presunta parentela con Mubarak e all'intervento di Berlusconi? Con la funzionaria in sostanza a rispondere che «il rapporto era diretto al mio superiore dottor Ostuni, lui era già al corrente, peraltro già era stato accertato che la ragazza non era parente di Mubarak. Non ho ritenuto importante riportare quelle cose».     Leggi l'articolo di Andrea Scaglia su Libero in edicola oggi, sabato 21 aprile    

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