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Ilva contro il sequestro degli impianti: "O revoca o a Taranto si chiude"

Il presidente Bruno Ferrante: "Se il sequestro preventivo degli impianti a caldo dovesse permanere la situazione economica sarebbe insostenibile"

Giulio Bucchi
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Se il giudice non imporrà lo stop al sequestro preventivo degli impianti a caldo, l'Ilva a Taranto chiuderà definitivamente. E' l'avvertimento-minaccia dell'azienda siderurgica che martedì ha presentato la controperizia con i dati sull'incremento dei casi di tumore nella città pugliese che secondo le ricerche di parte non sarebbero direttamente legati alla presenza dello stabilimento. "Se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio - rendono noto il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante e l'avvoacto Marco De Luca nell'istanza di dissequestro - l'ovvia insostenibilità economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell'attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo". Il dissequestro, per l'azienda, è funzionale all'attuazione di quanto l'Autorizzazione ambientale prescrive. Solo l'attività di impresa, dice l'Ilva, "può generare le risorse necessarie alla relativa ottemperanza" dell'Aia. L'Ilva fa altresì presente che l'assolvimento degli obblighi dell'Aia, che pone una serie di interventi ambientali e impiantistici, richiede necessariamente il ricorso al credito che "risulta impossibile in presenza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento". Il vincolo sull'area a caldo, dice l'Ilva con riferimento al sequestro giudiziario, "diviene, da subito, economicamente insostenibile".

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