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Wojtyla e Roncalli santiSocci: ecco da oggi cosa faranno

Giulio Bucchi
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Il popolo cristiano è giustamente in festa per la canonizzazione del grande Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII. E i giornali dedicano fiumi d'inchiostro all'evento che effettivamente è straordinario (con l'aggiunta di ore di programmazione televisiva). Al di là dell'indubbia importanza dei due pontefici canonizzati, quello che si ricava da tanto parlare - a mio avviso - è questo: più il mondo si laicizza e più diventa clericale. Più si fa anticristiano e più si appassiona alle cose curiali. Più censura il fatto cristiano, più si elettrizza per il ceto ecclesiastico. Più diserta le chiese, più è attratto dalle sacrestie. Tanto che laiconi come Scalfari e Pannella smaniano per una telefonata di papa Bergoglio e vanno in brodo di giuggiole nello spifferarla, mentre «l'incallito miscredente» Odifreddi fa la ruota e va in sollucchero per una risposta al suo libro arrivatagli da Ratzinger, sebbene il Papa emerito lo tratti da scolaretto. Fanno i mangiapreti e poi si liquefanno per l'emozione davanti al Papa come il sarto manzoniano davanti al cardinal Borromeo. Il fenomeno era già evidente in televisione (specie nei talk show) e sui giornali, dove da anni c'è un'invasione di ecclesiastici, proprio mentre c'è una totale censura dei contenuti della fede cristiana. In fondo è l'avverarsi di una predizione di Charles Péguy, il quale - da vero convertito - vedeva avvicinarsi l'era nefasta in cui ci saremmo trovati stretti fra la curia clericale e quella anticlericale. Due curie solidali (anche perché vanno a braccetto con la mentalità dominante). Diverge poco il loro atteggiamento anche di fronte alle notizie sempre più agghiaccianti che arrivano dal mondo sulla sorte di tanti cristiani, ridotti in schiavitù, violentati, discriminati e massacrati (come in Corea del Nord, in Africa o in Pakistan): le loro ferite sono oggi le visibili ferite di Cristo crocifisso. Ed è nella loro presenza umile ed eroica (penso alla povera Asia Bibi) che oggi è particolarmente visibile la presenza viva di Cristo. Sottile persecuzione - Lo sapeva e ce lo ha insegnato il grande Joseph Ratzinger, che affermava: «Le vie di Dio sono diverse: il suo successo è la croce… non è la Chiesa di chi ha avuto successo ad impressionarci, la Chiesa dei Papi o dei signori del mondo, ma è la Chiesa dei sofferenti che ci porta a credere, è rimasta durevole, ci dà speranza. Essa è ancora oggi segno del fatto che Dio esiste e che l'uomo non è solo un fallimento, ma può essere salvato». Per questo Giovanni Paolo II proclamò tanti santi, proprio per indicare tante persone semplici che nella nostra vita quotidiana, fra noi, sono stati segno della presenza viva di Cristo. Rimanendo perlopiù sconosciuti ai media, al mondo o magari subendo disprezzo e persecuzioni, a volte pure dalla Curia (come accadde a padre Pio). Del resto lo stesso mondo laico occidentale - modello Obama - che si appassiona alle Curie e al mondo clericale (e che celebra il Papa nelle copertine dei news magazine come «uomo dell'anno»), è quello che si mostra più lontano dai contenuti della fede. E a volte sempre più intollerante nei confronti dell'aperta e chiara presenza dei cristiani, fino a cercare di imbavagliarli come accade - in diverse forme - nell'Europa laicista attuale. Il fatto stesso che non la si veda e non faccia scandalo questa sottile persecuzione è il segno di quanto la si ritenga naturale, perfino giusta. Perciò è purtroppo prevedibile che essa diventi sempre più pesante. Un profeta del nostro tempo, don Luigi Giussani, già vent'anni fa la prefigurava: «Una persecuzione vera? È così. L'ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all'idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale. Anzi c'è un ossequio formale, addirittura sincero. L'odio si scatena - a mala pena contenuto, ma presto tracimerà - dinanzi a cattolici che si pongono per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione» (da Un evento. Ecco perché ci odiano, in Un avvenimento di vita, cioè una storia, Edit-Il Sabato, Roma 1993, p. 104). E dunque, già don Giussani - come si vede - coglieva questo strano paradosso di un clericalismo laicista che prospera all'interno di un anticristianesimo intollerante. E nel mondo clericale sta prendendo sempre più campo chi ritiene che si debba cercare l'applauso del mondo sulle cose che il mondo ama (quindi sul «politically correct») e chiudere in soffitta ciò che il mondo non ama sentirsi dire. Se Gesù avesse fatto così non sarebbe mai stato crocifisso. Anche Giovanni Paolo II non tacque mai e non scese a compromessi sulla verità, così è diventato l'esempio più luminoso di cosa sia un santo oggi e soprattutto un pastore santo. Infatti Ratzinger ha recentemente scritto di lui: «Il coraggio della verità è un criterio di prim'ordine della santità». Siccome uno dei motivi per cui la Chiesa proclama un santo è proprio questo, l'indicarlo ad esempio di vita, si spera che gli ecclesiastici imparino da lui e lo seguano. Paradiso e inferno - C'è però anche un secondo motivo per cui la Chiesa proclama dei santi: indicare dei fratelli nella fede che sono già in Paradiso e possono intercedere per noi (proprio per questo è chiesto il miracolo, come una conferma di Dio sulla presenza in Cielo della persona canonizzata). Dunque proclamando dei santi la Chiesa, al tempo stesso, ricorda agli uomini l'esistenza del Paradiso e della vita eterna (e implicitamente quella dell'Inferno), annuncia che questa fragile e breve vita terrena è solo la preparazione alla Vita vera, quella dove tutti i nostri desideri di felicità, di pace, di amore saranno compiuti in modo inesauribile. Il tema dell'Aldilà - ovvero che cosa c'è dopo la vita - è forse una delle rimozioni più imbarazzanti, un problema da cui fugge la cultura laica, da cui fuggono i media. Non riescono ad affrontarlo. Ma lo stesso mondo ecclesiastico ha pressoché accantonato nella predicazione i cosiddetti Novissimi (morte, giudizio inferno e paradiso). Eppure si tratta della questione più importante. È anche quella che corrisponde più profondamente ai desideri dei cuori umani. Jack Kerouac scriveva: «La vita non è abbastanza… Qui sulla terra non c'è abbastanza per desiderare». Infatti l'uomo è l'unica creatura che non trova appagamento sulla terra. Solo lui è animato per tutta l'esistenza da un desiderio di felicità, di amore e di significato che resta insoddisfatto. Perché un'altra è la sua vera patria. Questo è il messaggio profondo delle canonizzazioni della Chiesa, di cui però non si trova traccia nel fiume di articoli di questi giorni. Eppure tutta l'esistenza terrena - come osservava il filosofo Bergson - cambia in base al fatto che ci sia o meno la vita dopo la vita. Nel Vangelo si vede che il centro dell'annuncio di Gesù è proprio questo: il Regno di Dio (o, in alternativa, l'angoscia eterna dell'Inferno). Ci sono stati promessi «cieli nuovi e terra nuova», dove non vi sarà più la morte e tutte le lacrime saranno asciugate. I mistici - che hanno visto il Paradiso - parlano di una felicità inimmaginabile e indicibile con parole umane. Per guadagnare la Vita vera, la felicità del Paradiso, moltissimi, in questi duemila anni, sono stati pronti perfino a dare la vita. I santi dicono che ne vale la pena. Infatti Gesù nel Vangelo lancia la domanda più vertiginosa, anche per il nostro tempo: «Che vale all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso?». di Antonio Socci

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