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Lazio, Basilicata, Toscana o Puglia per il maxi-deposito di scorie radioattive

Matteo Legnani
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Sono lontani i tempi dell'Italia nucleare. Le quattro centrali sono chiuse da decenni, ma il lascito di quei pochi anni di atomo sono 27mila metri cubi di rifiuti radioattivi, che sono attualmente stoccati in modo provvisorio in una ventina di siti sparsi per lo Stivale. Una situazione, scrive il quotidiano "La Stampa",  che ci è vietata ormai da una direttiva europea del 2011, che obbliga gli Stati a predisporre una soluzione definitiva e assolutamente sicura. Costruendo un «Deposito nucleare nazionale» che funzionerà per almeno quarant'anni. Qui finirà l'«immondizia atomica» già presente in Italia. Il problema è, naturalmente, dove verrà costruito questo deposito, che sarà grande come un campo da calcio e alto quanto un palazzo di cinque piani. Lo scorso 4 giugno l'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha ufficializzato i criteri per la localizzazione dell'impianto, che successivamente sarà realizzato dalla società pubblica Sogin. Entro il gennaio del 2015 bisognerà così definire una mappa delle aree potenzialmente idonee per il deposito che sarà di superficie. Escluse le aree vulcaniche, quelle sismiche, quelle soggette a frane e inondazioni, quelle in fasce fluviali o in depositi alluvionali preistorici, quelle a quote superiori ai 700 metri, a meno di 5 chilometri dalla costa, in zone carsiche o di sorgenti, i Parchi nazionali. Niente da fare nemmeno per le aree vicino a centri abitati, strade e ferrovie, attività industriali, aeroporti, poligoni militari, miniere. Togli qua e togli là, alla fine il deposito finirà in una di queste quattro Regioni: Puglia, Lazio, Toscana, Basilicata. La scelta verrà effettuata entro la primavera del 2016 e la costruzione sarà terminata entro il 2022.      

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