La lotta di Giovanna col cancro e un marito in fuga
Quando un'amica mi ha scritto su facebook invitandomi a leggere la storia di Giovanna e magari a darle una mano raccontando quello che le è accaduto, non credevo mi sarei imbattuta in una vicenda così forte, in una donna così coriacea, in una voce così allegra, nonostante tutto. E il nonostante tutto, è il pavimento che crolla sotto i piedi in una giornata di quelle in cui sembra che tutto sia come sempre. Quando il pavimento è ancora saldo, Giovanna ha 39 anni, un compagno da nove e un figlio di otto che si chiama Mikhael. È molto bella Giovanna. Esile e con i lineamenti perfetti, gli occhi scuri e gli zigomi pronunciati. Somiglia a Sandra Bullock. Ama profondamente il compagno e, soprattutto, si sente amata. Anzi, «venerata», mi ripete più volte con tenerezza, quando mi racconta la sua storia al telefono. Un giorno Giovanna si accorge di una piccola perdita ematica tra un ciclo e un altro. Nulla di che, una goccia di sangue. Accade ancora, il mese successivo. E poi ancora. È agosto del 2013 quando Giovanna scopre che quelle minuscole gocce di sangue sono il sintomo brutalmente irrisorio di un male infido e cattivo: il cancro alle ovaie. Il dottore è onesto e sa che non può mentire a una giovane donna con un bambino piccolo e un compagno che la venera. Le dice che dovrà essere operata, che c'è un'alta percentuale di possibilità che non ce la faccia. Giovanna pensa a sua mamma morta giovane dello stesso male e a suo papà, morto anche lui qualche anno dopo di tumore che lei era un'adolescente. È vero, è cresciuta sola, ma ora ha un compagno che le dice «Ci sono io». Un compagno che venticinque giorni prima dell'operazione che le regalerà qualche speranza di vita la sposa dopo nove anni di convivenza. Giovanna subisce una laparotomia esplorativa, una di quelle operazioni in cui ti tagliano l'addome da su in giù per capire fin dove si siano insidiate le cellule tumorali e poi l'asportazione di utero e ovaie. Scoprono che il tumore se n'è andato in giro e ha trovato il suo nido malefico nel peritoneo, una membrana che riveste la cavità addominale. Ad appena due mesi dalla scoperta della malattia, Giovanna è in menopausa, con la consapevolezza di non poter più avere figli e con un futuro incerto anche per il figlio meraviglioso che ha e che non la abbandona mai. L'impatto con la chemioterapia è devastante. Due ore dopo il primo bombardamento di radiazioni, Giovanna perde i capelli, quei bei capelli lunghi di cui andava fiera. Le cadono come foglie secche e allora si compra una parrucca. Il suo fisico, dopo un po', comincia a sfiancarsi. Arriva a pesare quaranta chili. Il marito, che fino a quel momento era parso una roccia, inizia a dare segni di cedimento. Una notte si sveglia e dice a Giovanna di aver fatto un sogno strano. Di aver sognato una Madonna portata in processione, una grossa statua che a un certo punto cadeva e si rompeva in mille pezzi. Lo psicologo, mesi dopo, spiegherà a Giovanna che quella statua era lei, che quella donna così venerata aveva perso le sembianze della Madonna per assumere quella di una malata fragile e sfiancata dall'incertezza e dalla terapia. Sono bestie imprevedibili, certe malattie. Mettono a dura prova non solo chi le ha addosso, ma anche chi le affronta da marito, da moglie, da figlio, da genitore. E il marito di Giovanna non ce la fa. A soli due mesi da quel matrimonio che sfidava il male, lui decide che è una battaglia troppo grossa, che non ha quella forza da regalare a Giovanna e al loro bimbo e lascia la moglie nel momento più duro della sua vita. Lei lo prega, lo implora, si dispera ma capisce che non può combattere quella battaglia con un soldato stanco. Il marito va via tra mille tentennamenti, lei frattempo ha cominciato una cura alternativa perché la chemioterapia era troppo dura per il suo fisico, continua a fare la spesa attingendo dal conto della famiglia, su cui il marito versa lo stipendio. Giovanna faceva l'estetista, era brava, ma poi aveva smesso di lavorare per crescere suo figlio e certo non poteva ricominciare in quel momento. Da giugno del 2014 il marito lascia definitivamente Giovanna, le fa mandare la lettera dell'avvocato con la richiesta di divorzio e smette di vedere anche il bambino. Ad ottobre Giovanna va a fare la spesa al supermercato e la cassiera le dice che il bancomat non va. Credito insufficiente. Il marito ha smesso di versare lo stipendio sul conto destinato alla famiglia. A questo punto la trama somiglia a quel di un bel film La ricerca della felicità. Un genitore, un bambino piccolo, un conto corrente vuoto da un giorno all'altro, con la differenza che Giovanna non è un uomo in salute e un corso da broker che può cambiarle la vita. Giovanna sta male, molto male e non ha più soldi per la casa, per la spesa, per le cure. Ed è così che comincia quella trafila mortificante e silenziosa che è fatta di file alla Caritas, richieste di aiuto agli amici, servizi sociali che mettono a disposizione uno psicologo per il trauma subìto e un avvocato per poter chiedere un mantenimento, che nel frattempo è la cifra minima di 250 euro al mese per Mikhael. Una cifra con cui Giovanna non riesce neanche a fare la spesa per un mese. E ora arriviamo al presente. Sono arrivata a conoscere la storia di Giovanna perché un suo amico fumettista per Topolino, Fabio Celoni, ha raccontato la sua storia su un sito, www.buonacausa.org. Lo ha fatto con cuore e tatto, senza cercare colpevoli e senza indicare nemici, ma chiedendo semplicemente di aiutare Giovanna tramite una raccolta fondi. Dal 16 dicembre ad oggi sono stati raccolti 9700 euro, che servono a Giovanna per pagarsi un anno di cure. Ovviamente, in attesa di una sentenza per il mantenimento che non arriverà prima di mesi, ci sono tutte le altre spese che incombono sul suo futuro e quello di Mikhael. Prima di tutto, i 600 euro al mese di affitto e bollette. Giovanna però cerca anche e soprattutto un lavoro part time a Imola, magari come segretaria, in modo che il suo fisico provato possa reggere la fatica. Le basta rispondere al telefono in un ufficio e sapere che a fine mese nessun supermercato le dirà mai più che il credito è insufficiente per comprare la cena a suo figlio. Chiudo questo racconto rivelando cosa mi ha convinto a voler bene a questa storia e a questa donna in maniera speciale: non è stata solo la forza, non è stato il dolore, né il bimbo piccolo. Certo, hanno contribuito. Ma che è una donna speciale Giovanna l'ho capito perché non ce l'ha con l'unica persona con cui sarebbe stato facile e legittimo prendersela. Per lei il marito è solo un essere umano che non ha trovato la forza dentro di sé, non un vigliacco, non una cattiva persona. L'unica cosa che desidera è che le consenta una vita dignitosa nella malattia e che torni al più presto a vedere Mikhael. Spera che anche se ha smesso di idealizzarla come la Madonna di quella processione e ora scorge solo i cocci per terra, torni presto a vederla come la mamma di suo figlio. Auguri, Giovanna. di Selvaggia Lucarelli