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La grande balla del cibo sprecato, che potrebbe sfamare i poveri

Lucia Esposito
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Gli spreconi o presunti tali rischiano grosso. Dalle filippiche stiamo passando alle condanne. Penali. Come quelle invocate dal guru Carlo Petrini per la grande distribuzione. Al punto che rischieremo di più a buttare nella spazzatura un cespo d'insalata o un petto di pollo anziché falsificare un prodotto Dop. Nel secondo caso, grazie alle legge che ha di fatto depenalizzato i reati «bagatellari», il sofisticatore se la cava con un'ammenda, nel primo - in caso di recidiva - rischia davvero la galera. Le campagne contro gli sprechi alimentari, meritorie e sacrosante, per la carità, attraversano come cicloni le pagine dei giornali e i servizi dei tiggì. Di nuovo, però, c'è la stretta impressa in Francia dal Parlamento che ha approvato all'unanimità una legge molto severa: i manager delle catene della grande distribuzione pescate a buttare nella spazzatura alimenti ancora edibili rischiano due anni di prigione e una multa di 75mila euro. NUOVA CROCIATA Il provvedimento ha dato il destro ai guru nostrani di scatenare una nuova crociata contro gli spreconi. Il portabandiera del fronte del no al bidone dell'immondizia è senza dubbio Carlo Petrini, il fondatore di Sloow Food che sulle colonne del quotidiano La Repubblica, ha dapprima esultato per la legge francese, e poi invocato analoghe sanzioni per le grandi insegne della distribuzione italiana: «La decisione della Francia mi riempie di gioia», ha dichiarato a Repubblica Tv, «spero presto che diventi reato anche in Italia». Insomma, dopo le manette agli evasori arrivano quelle per gli spreconi. «Anche se personalmente non amo gioire sull'introduzione di pene severe o di misure deterrenti forti», chiarisce Petrini, «in questo caso era necessario dare un segnale deciso per affermare che buttare via un prodotto ancora mangiabile è un torto che si commette nei confronti di chi lo ha prodotto, di chi non ha accesso al cibo che noi buttiamo, di chi soffre di povertà e malnutrizione, ma anche nei confronti di tutte le generazioni che verranno dopo di noi ad abitare questa terra». Insomma, gli spreconi, oltre a doversi vergognare perché non pensano a quanti non hanno nulla da mettere in pancia, recano anche un grave danno ai cittadini di domani. Roba che se trovi il giudice incazzato rischi di beccarti una condanna per crimini contro l'umanità. CATENA DEL FREDDO Ma siamo sicuri che i cibi ancora edibili anche se non più mangiabili a guardare la data di scadenza, possano essere facilmente reimmessi nel circuito alimentare? Per il latte e i derivati è molto rischioso. Come per il pesce e la carne. La scritta «consumare preferibilmente entro il..», indica si un termine prudenziale ma per rimettere in circolo le derrate alimentari scadute le catene della grande distribuzione dovrebbero comunque inventare una nuova catena del freddo. Gli alimenti non più commerciabili devono comunque essere tolti dai banconi refrigerati e stipati nuovamente in celle frigorifere. Diverse da quelle ove so tengono i cibi non scaduti. Poi dovrebbero attivare un sistema di spedizioni (a chi?) utilizzando furgoni e camion frigoriferi. Il ricevente, una onlus, ad esempio, sarebbe costretto a sua volta ad attrezzarsi per refrigerare i locali in cui la merce viene immagazzinata. «Alla fine costerebbe meno regalare vivande non scadute», confessa a Libero il responsabile della logistica di una catena della Gdo. «Senza contare che lavorare cibi che abbiano superato la sell by date interna, non è per niente facile. Per molte merceologie non è preparata neppure l'industria» Al di là dei buoni propositi, i profeti degli sprechi zero probabilmente non hanno neppure immaginato come trattare i cibi sottratti alla pattumiera. NUMERI SBALLATI Ma c'è pure un altro grande equivoco che negli ultimi anni ha alimentato la lotta agli sprechi. Gli alimenti destinati a finire nella spazzatura ogni anno sono sì 5milioni e mezzo di tonnellate. Ma non rappresentano il 30% della spesa degli italiani. Il dato, che rimbalza da oltre un quinquennio sulle pagine dei giornali, è frutto di una stima molto grossolana realizzata dall'Adoc, intervistando telefonicamente o via mail i propri iscritti e rilanciata da La Repubblica il 25 ottobre del 2010. In realtà non è così, come ha dimostrato uno studio molto accurato compiuto dal Politecnico di Milano in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà. Dunque due fonti al di sopra di ogni sospetto. CIFRE REALI I numeri reali sono molto diversi da quelli annunciati dall'Adoc. Considerando tutte le fasi della filiera alimentare, dal campo (o dalla stalla fino alla tavola), va sprecato il 16% del cibo che si produce. Ma i consumatori non buttano un terzo di quel che acquistano bensì appena l'8%. E la grande distribuzione, finita inopinatamente sul banco degli imputati, si ferma al 2,5%. E a guardare i dati ufficiali, forniti dal nostro ministero dell'Ambiente, si fa un'altra scoperta inattesa. I veri spreconi non abitano né in Europa né in America. Ma in Oriente. L'Asia industrializzata è responsabile del 27% degli sprechi, il sud est asiatico del 23. Il Vecchio continente si ferma al 14, così come il Nord America assieme all'Oceania. Butta ancora meno l'Africa sub sahariana dove però di roba da mettere in pancia ce n'è davvero poca. Forse, anziché punire chi non riesce a vendere tutti i cibi che espone e a criminalizzare i consumatori, gonfiando a dismisura le loro pattumiere, dovremmo preoccuparci di aiutare a produrlo chi il cibo non ce l'ha. Attilio Barbieri

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