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"Anche mia madre è morta di parto. Vi racconto com'è vivere senza di lei"

Giovanni Ruggiero
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Anche ieri una mamma è morta in sala parto. Purtroppo non ha visto la luce nemmeno il suo bambino. In dieci giorni è il quarto caso. La Lorenzin manda gli ispettori, la procura apre un' inchiesta. Magari c' è qualche responsabilità dei medici. O forse, come spesso capita, è solo sfortuna. Maledetta sfortuna. Non sembra vero che una ragazza in forma, felice, sognante possa fare una fine del genere. Ogni volta che accadono queste disgrazie leggo ogni singola riga. Non è curiosità morbosa. È solo che ogni volta penso alla mia di mamma. Che a 22 anni, per embolia polmonare, se n' è andata un giorno di metà settembre tanti anni fa. Ha fatto lo sforzo più grande della sua vita per mettermi al mondo. Era felice, non vedeva l' ora di vedermi, dopo il parto, ma verso sera il respiro si è fatto sempre più affannoso, finchè il cuore non ha più emesso battiti. Neanch' io l' ho mai vista, non ho mai sentito la sua voce. Tutti mi hanno raccontato che era buonissima, che aveva un grande sorriso, che non vedeva l' ora di coccolarmi e di insegnarmi come si sta al mondo. Niente. Non ci siamo mai incontrati. Me l' hanno portata via. Lei aveva appena 22 anni, io appena poche ore. Per fortuna che c' era mio papà. Li guardo in faccia i mariti, i fidanzati, i compagni che hanno perso in questi giorni la donna della loro vita e il loro bimbo. E penso appunto a mio padre. Come poteva sentirsi in quei giorni, in quelle settimane. Perché dopo la disgrazia sono tutti con te, ma poi, quando chiudi la porta sei solo. E nel mio caso c' ero anch' io. Poco più di tre chilogrammi, un mese all' ospedale con aghi piantati in testa, l' incubatrice, e poi a casa. Chissà dove ha trovato il coraggio mio padre per andare avanti... Sono stati proprio il suo coraggio, la sua umiltà e la sua resistenza a plasmarmi. Quando sono in difficoltà penso a quei momenti, anche se non li ho vissuti in prima persona. E trovo la benzina per riaccendere il motore. E andare avanti. Certe ferite non si rimarginano mai. La cicatrice resta sempre. Ma nelle disgrazie, sembra strano, nasce qualcosa di inaspettato. Spunta l' amore inconsapevole di altre persone: mio padre si è risposato e sua moglie, per me, è la mamma. La chiamo mamma. E mi vuole bene come se fossi suo. È nata anche mia sorella e ho sempre odiato chi la etichettava come sorellastra. Siamo una famiglia. Siamo andati avanti. Ora, per chi ha perso la persona amata (mariti, genitori, amici...), è il momento del sacrosanto dolore. Guai a non piangere. Ma poi, senza accorgesene, si ripartirà. Perché il sacrificio di una mamma non si può sprecare: lei, in cielo, vorrebbe che chi resta qua non molli. Tanto sarà sempre con noi. Ciao angeli. Giuliano Zulin

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