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Pansa mortale: questa è guerra. "C'è un solo modo per sopravvivere..."

Giovanni Ruggiero
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Non fare come i bambini del Belgio! Era questo il monito della mia nonna paterna, Caterina Zaffiro vedova Pansa, quando da ragazzino mi comportavo da sciocco e ne combinavo una peggio dell' altra. Un giorno chiesi alla nonna perché ce l' avesse tanto con i bambini belgi. Lei rispose, glaciale: «Perché erano così stupidi da non accorgersi neppure che i tedeschi gli tagliavano la mano destra!». «E perché glie la tagliavano?» domandai ancora a Caterina. Senza batter ciglio, la nonna mi spiegò: «Perché non volevano che, una volta diventati grandi, potessero imbracciare un fucile e combattere». Era una leggenda senza fondamento, naturalmente. Nata durante la Prima guerra mondiale per sostenere che i soldati del Kaiser erano truppe di una ferocia senza pari. Caterina era nata nel 1869 a Caresana, un paese povero del Vercellese. Nessuno, né la famiglia e neppure qualsiasi autorità, aveva mai pensato di mandarla a scuola. Dunque non sapeva leggere e scrivere, secondo le statistiche piemontesi era una illetterata totale. Allo scoppio di quel conflitto aveva quarantasei anni e temeva che nella fornace del fronte ci finissero anche i tre figli maschi, come accadde a mio padre Ernesto, classe 1898, soldato del genio al servizio del Duca d' Aosta. E si era convinta che la soldataglia più crudele fosse la crucca, che portava l' elmetto con il chiodo. Il monito di Caterina mi è ritornato alla mente in questi giorni che hanno visto il Belgio alle prese con i terroristi islamici che si muovono sull' asse Parigi-Bruxelles, lasciandosi alle spalle qualche centinaio tra morti e feriti. I giudizi sul comportamento delle autorità belghe sono stati impietosi. Abbiamo sentito di tutto, a cominciare da un' immagine terribile: il Belgio è uno Stato già fallito. Lo diventerà sempre di più adesso che scopre di essere in guerra. E non sembra in grado di comportarsi come dovrebbe un paese che ospita il cuore burocratico di un' Europa in procinto di sfasciarsi. Passando da un errore all' altro. Ma prima di rammentare i tanti sbagli gravi, voglio dire qualcosa a proposito della guerra che ci sta investendo. Il primo a usare questa parola corta e spietata, appena sei lettere dell' alfabeto, è stato Papa Bergoglio. Ha subito detto che siamo alle prese con una guerra mondiale, sia pure a pezzi. Quando l' ho sentito mi sono reso conto che l' immagine non mi sorprendeva. Poiché da ragazzino avevo già visto un conflitto mondiale, quello tra il 1939 e il 1945. E la memoria mi ha restituito non poche analogie con quanto accade oggi. I bombardamenti aerei degli angloamericani facevano parte della strategia militare di tutte le guerre moderne, ma per noi che stavamo sotto quella pioggia infernale erano orrendi quanto gli attentati odierni del terrorismo islamico. Imprevedibili, arrivavano di giorno come di notte, con il sole o la nebbia, durante l' estate e in inverno. Nessuno li annunciava. Otto volte su dieci, le sirene dell' allarme suonavano in ritardo. In certi casi, precipitarsi nei rifugi non serviva a nulla. Ne sanno qualcosa le grandi città italiane. A cominciare da Roma, colpita in modo pesante il 19 luglio 1943, con millecinquecento morti e alcune centinaia di feriti. Per non parlare delle tante città tedesche, come Dresda, rase al suolo nel 1945, quando la guerra era di fatto già conclusa. Le conseguenze sul morale dei civili erano identiche a quelle di chi oggi si trova alle prese con i kamikaze islamici o con le raffiche di kalashnikov dei terroristi del Califfato. L' abbiamo già constatato nella seconda guerra mondiale. La vita perde valore dal momento che puoi morire all' improvviso e senza aver commesso nessuna colpa. Una quantità di luoghi diventano insicuri: treni, metrò, aeroporti, campi di calcio, piazze affollate, concerti in teatro o all' aperto. Ti accorgi di essere una preda di becchini che possono ucciderti per ordine di un' entità sconosciuta. Del resto gli equipaggi dei bombardieri alleati erano formati quasi per intero da ragazzi meno che ventenni, abituati a ripetere in modo automatico le manovre che erano stati allenati a fare. Le incursioni tedesche su Londra si accanirono sui civili e fecero migliaia su migliaia di morti. L' esistenza di milioni di persone cambiò. Lo stesso mutamento si registrò nella moralità individuale. Pensiamo ai rapporti personali tra uomini e donne. Divennero più sfacciati, tanto da obbligarci a constatare che la rivoluzione sessuale non iniziò nel Sessantotto, ma una ventina di anni prima. Quando ripenso a quella guerra, e oggi mi capita di farlo sempre più spesso, mi dico: «Ce la siamo cavata allora e ce la caveremo anche adesso». A condizione di non ripetere gli errori che oggi vengono rimproverati al Belgio. Un giornalista esperto di questi problemi, Gian Micalessin, sul Giornale di venerdì ne ha elencati dieci. I kamikaze rilasciati. La soffiata archiviata. L' artificiere mai identificato. Il covo dimenticato. L' irruzione fallita. I detonatori ignorati. Il divieto di perquisizioni notturne, dalle nove di sera alle cinque del mattino. Il mancato scambio di informazioni. Le falle dei servizi di sicurezza. L' aeroporto di Bruxelles sguarnito e senza difese. Tutte le autorità, dai capi di Stato e di governo sino all' ultimo dei peones parlamentari, si affannano a giurare che il terrorismo islamico non cambierà il nostro modo di vivere. Al Bestiario sembra una falsità difficile da accettare. Ho il timore che di mutamenti ce ne saranno molti. A cominciare dai rapporti politici e istituzionali. Mi induce a ritenerlo non le analisi di un pensatoio di studiosi preveggenti, bensì una vignetta del grande Vincino sul Foglio. Il disegno mostra un signore con la lobbia e un grosso sigaro acceso. La didascalia recita: «Che errore, signor Califfo, fare incazzare l' Europa. Poi arrivò Churchill e non ci fu trippa per i gatti». Chi sia l' uomo con il sigaro del 2016 e dei tempi successivi nessuno sa dirlo. Ma di certo non sarà un leader politico dai modi garbati. Se gli attentati del terrorismo islamico continueranno a provocare un numero sempre più alto di vittime, le democrazie odierne non reggeranno. Inizierà l' epoca del pugno di ferro, senza riguardi per il tran tran al quale siamo abituati. Arriveranno leggi molto meno liberali. Misure restrittive. Sistemi istituzionali autoritari. Il tutto complicato dagli sbarchi incessanti di profughi dall' Africa, dalla Siria, dallIraq. Dopo le stragi di Bruxelles, il nostro premier ha già sentenziato: «Non è più tempo di sciacalli e di colombe». Che cosa intendeva dire? E chi lo sa. Sarà diventato un poeta ermetico, il nostro presidente del Consiglio? Tutto è possibile. C' è soltanto da sperare che, in quest' epoca di ferro e di fuoco, l' uomo di palazzo Chigi non si illuda di poter fare tutto da solo. Comunque sia, esiste una constatazione: «Quando si è chiamati in guerra, bisogna combattere e vincere. I muri, i fili spinati, i posti di blocco messi in atto sino ad ora, sono misure inutili e risibili. Ma forse la leadership europea, che ci penalizza da tempo, produrrà ancora l' assenza di ogni decisione». L' ha detto Silvio Berlusconi, ma non per questo è meno vero. Se penso ai super burocrati continentali che si pavoneggiano a Bruxelles, mi viene voglia di dichiararmi cittadino di Marte o di Saturno. Giampaolo Pansa

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