Olio extravergine d'oliva, i veri prezzi all'origine: la quotazione all'ingrosso è precipitata, ma...
L'extravergine italiano va sempre più giù. A dispetto della scarsa produzione realizzata nella campagna olearia 2017, le quotazioni all'origine continuano a calare. Il prezzo medio all'ingrosso censito da Ismea Mercati era pari nella seconda settimana di dicembre (ultimo dato disponibile) a 4,17 euro al chilogrammo. Una miseria. E il confronto è negativo anche rispetto al 2016: in dodici mesi l'oro verde italiano ha perso il 26,4% del valore. Leggi anche: Latte vegetale, la grande truffa: cosa ti bevi davvero Ma i grandi numeri a volte ingannano. Pur nel rigore delle statistiche - Ismea è una fonte al di sopra di ogni sospetto - accade che non descrivano la realtà in tutte le sue sfaccettature. Proprio come accade con l'olio d'oliva. Chi abbia la fortuna di poterlo acquistare direttamente dal produttore avrà pagato sicuramente cifre superiori ai 4,17 euro al litro. Il “mistero” è presto spiegato: oltre al mercato all'ingrosso c'è quello al dettaglio, dove le quotazioni sono ben superiori. Per fortuna di chi ha ancora il coraggio di coltivare l'ulivo dalle nostre parti. GRUPPI SU FACEBOOK Ma come fare a censire prezzi che per loro stessa natura sono variabilissimni e sfuggono alle statistiche ufficiali? Attraverso i social media, naturalmente. Su un gruppo presente su Facebook, dedicato agli olivicoltori, un iscritto ha lanciato una provocazione, chiedendo ai componenti di dichiarare zona e prezzo di vendita al dettaglio. Non hanno risposto in molti sugli oltre 15mila iscritti. Ma quanti lo hanno fatto forniscono comunque uno spaccato dell'Italia olearia. Io mi sono limitato ad annotare i valori dichiarati dai produttori e ad organizzarli regione per regione. Ne è uscita una tabella che rappresenta una novità perfino per chi si occupa del settore. La geografia dei valori all'origine dell'oro verde made in Italy è assai variegata, con una forchetta di prezzi molto ampia. Dai 4,50 euro di Serra San Bruno, vicino a Vibo Valentia, Calabria, fino ai 15 della Toscana. Passando per gli 8-9 euro del Teramano e i 10-12 del Perugino. Un campionario assai difforme che dà la dimensione di quanto siano scarsamente efficaci le generalizzazioni statistiche. Dal censimento ho escluso volutamente gli oli Dop e quelli biologici, che appartengono a mercati con regole diverse rispetto all'extravergine generico. TANTI LISTINI Per la cronaca gli stessi olivicoltori pugliesi che dichiarano di vendere direttamente ai consumatori il loro prodotto a 8 o 10 euro al litro, lo conferiscono in grandi quantitativi agli intermediari anche a 4,30 euro. A conferma che i prezzi, pur nella loro radicale diversità, possono coesistere. Lo stesso prodotto, commercializzato attraverso canali diversi, ha quotazioni assai differenti. E comunque non esistono due listini: ingrosso e dettaglio. Ogni produttore, di fatto, fa il suo prezzo nel rapporto diretto con i consumatori. I valori pià alti, segnatamente quelli sopra i 9 euro, si raggiungono con extravergini monovarietali, espressione spesso di una grande biodiversità locale. In generale vince il chilometro zero, con buona pace dei profeti (smentitissimi) di una iperindustrializzazione pervasiva che penalizza gli anelli più deboli della catena: il primo e l'ultimo. I produttori e i consumatori. PREZZI ALTI AL NORD C'è poi un'ulteriore riflessione da fare. Più si sale al nord della Penisola e più i prezzi crescono. Un fatto che non deve stupire: il grosso della produzione di extravergine si fa al Meridione. E non a caso la Puglia, di gran lunga il primo produttore italiano di oro verde, è pure la regione dove i prezzi sono più bassi e stanno calando di più. Al Settentrione si verifica invece il caso inverso: a fronte della scarsità di materia prima, la domanda fa lievitare le quotazioni. Che risultano poi particolarmente elevate nel caso di extravergini monovarietali, come la Taggiasca in Liguria. Chilometro zero, biodiversità, prodotti distintivi legati ai territori. Anche per l'olio d'oliva la strada del successo è quella che procede in direzione opposta rispetto alla standardizzazione produttiva. È su quel percorso, impervio e pur sempre difficoltoso, che si riesce a creare valore e salvaguardare la sostenibilità sociale dell'intera filiera che conduce dal campo alla tavola. di Attilio Barbieri