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Le Ong italiane in rivolta contro Carola Rackete e le organizzazioni straniere: "Danneggiano il nostro lavoro"

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Cristina Agostini
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Prima gli italiani, dice Matteo Salvini. Prima le italiane, dicono le Ong italiane. Quelle che non hanno nulla a che vedere con le «multinazionali della solidarietà», che non utilizzano la «pornografia del dolore» (avete presente le pubblicità strappalacrime ad ore improbabili con i volti dei bimbi dilaniati dalla fame, che vengono strumentalizzati per raccogliere soldi?) per rimpinguare le casse, che non spendono e spandono in stipendi con i soldi delle donazioni destinati ai poverelli, che fanno carità «ma con la C maiuscola». Organizzazioni che hanno fatto del volontariato parte della propria esistenza - senza per questo attingere dai fondi ai quali i donatori versano le proprie speranze per migliorare il mondo - e che ora più che mai si sentono vessate dalle ong straniere, che arrivano, prendono, se ne vanno, fanno quello che vogliono. Due i "casi" che hanno fatto riflettere, per esempio, Marco Griffini, dal 1986 alla guida di Ai.Bi. (Amici dei bambini), Ong costituita da un movimento di famiglie adottive a affidatarie con l' intento di frenare l' abbandono. Il primo riguarda il sondaggio Ipsos che fotografa il calo di fiducia degli italiani nelle organizzazioni no profit, scesa dall' 80% registrata nel 2010 al 39% di oggi. Motivo? Per gli italiani le Ong si muovono per ragioni politiche e non umanitarie. Posizione alimentata soprattutto dagli ultimi fatti di cronaca legati all' immigrazione che sta interessando il nostro Paese. Leggi anche: Migranti, l'assalto viene dal Nord. "Roba da matti", Salvini accende i fari su questa nave  La Sea-watch - Da dire, infatti, che il sondaggio è stato realizzato quando l' Italia era concentrata sulla vicenda della Sea Watch, con la "disobbediente" Carola Rackete entrata in acque italiane per "motivi umanitari". Azione che, a differenza della giustizia, non ha incontrato il favore degli italiani, almeno nel sondaggio Ipsos visto che la maggioranza ha promosso la linea dura del ministro dell' Interno, che non ne vuole sapere di ong straniere che prendono i migranti in mare, li portano in Italia e ciao ciao. L'altro fatto che ha fatto riflettere Griffini è stato il lancio della campagna di sostegno a distanza #ognicoppiapuò di ActionAid, che in Italia ha utilizzato le foto di Matteo Salvini e Luigi Di Maio con il quesito: "Affideresti un bimbo o una bimba a una coppia di questo genere? Noi sì". Chiarissimo il riferimento alle adozioni arcobaleno. Griffini ha fatto "due più due": «Ci ho visto una strumentalizzazione del sostegno a distanza per fini politici, per arrivare alle adozioni che non c' entra nulla con il vero tema che sono le adozioni a distanza». Quindi la domanda: «Perché devono utilizzare gli strumenti di solidarietà per fini politici? Così si mette in cattiva luce il mondo della solidarietà italiana e crolla la fiducia nel terzo settore». Domande lecite, che fanno riflettere sul fatto che le Ong straniere (tra queste Action Aid, Medici senza frontiere, Save The Children, solo per citarne qualcuna), quelle sono realtà che hanno sede all' estero e filiali ovunque e che i soldi raccolti nei vari Paesi vengono mandati alla casa madre. «Ma perché? E perché», chiede e si chiede il fondatore di Ai.Bi., «spendono i soldi dei donatori per investire in pubblicità? La solidarietà è ben altro». E dire che quando non esistevano le ong straniere «le Ong italiane erano "coccolate" dai media, che mettevano a disposizione spazi gratuiti, poi sono arrivate loro» e il mercato è cambiato. «Hanno trasformato il sostegno in un "detersivo", più si investe più si porta a casa fondi. La solidarietà è un prodotto. Per non parlare degli stipendi assurdi. Chi lavora col no profit non dovrebbe guadagnare». Invece c' è chi intasca fino a 350mila dollari all' anno, come il presidente di Save The Children. La normativa - Normative, a riguardo, non ce ne sono, nemmeno un codice etico, e ognuno si muove come vuole. Basterebbe, suggerisce Griffini, vietare la retribuire dirigenti e dipendenti, vietare l' acquisto di spazi pubblicitari, pubblicare sui siti i livelli retributivi, vietare la "pornografia del dolore" per attività di comunicazione. Fare chiarezza, insomma. «Noi stiamo lavorando ad un codice etico, non si può più rinviare la definizione di regole chiare per stabilire quali siano i requisiti per operare nel mondo della solidarietà». Magari con una legge. di Tiziana Lapelosa

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