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Vittorio Feltri: "Perché noi siamo peggiori dei nostri ragazzi che deploriamo"

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Davide Locano
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Su parecchi giornali e in tv si discute riguardo vari fatti di sangue avvenuti recentemente ed i cui protagonisti sono ragazzini: dal carabiniere accoltellato da uno scemo americano alla banda di idioti che in discoteca ha asperso il peperoncino uccidendo sei persone, senza contare il deficiente il quale ha steso un bambino lanciando su una spiaggia ligure un cassonetto. Non sono cose edificanti ed è normale che la pubblicistica indignata se ne occupi, tentando ingenuamente di spiegarle alla luce di un presunto imbarbarimento del popolo che ha contagiato i giovani di adesso. Ma è proprio in queste abborracciate analisi sociologiche e psichiatriche che si trovano corbellerie sesquipedali. I fanciulli di oggi non sono diversi da quelli di ieri e di ierlaltro, anzi, è probabile che siano leggermente migliori. E non ci vuol molto a dimostrarlo. Parlo per esperienza, essendo abbastanza vecchio da poterlo fare in veste di testimone. Negli anni Quaranta accadde di tutto, specialmente nel periodo in cui a causa dei regolamenti di conti fra i numerosi fascisti perdenti e i pochi partigiani vincenti ci fu un conflitto sanguinoso. Chiedo scusa se parto da lontano, dove sono ricondotto dai ricordi. Nel 1950 e per un lustro successivo registrammo il fenomeno dei teppisti, termine mutuato dal sostantivo "teppa", cioè la periferia milanese. La teppaglia imperversava nel capoluogo lombardo e ne combinava di ogni colore: assalti, rapine, botte da orbi. Ed era costituita da bulli poco più che adolescenti, i quali invece di puntare a un posto al sole puntavano ad un posto a San Vittore, e se lo conquistavano agevolmente. Essa infierì a lungo, tanto è vero che il vocabolo "teppisti" non è morto del tutto. Poi fu la volta di una subcultura di matrice inglese: i "teddy boy", gruppi di storditi dal rock and roll, i quali crearono bande che si contrastavano violentemente, dando vita a una sorta di delinquenza organizzata. Le mode, perfino le peggiori, per fortuna tramontano, ma spesso sono sostituite da costumi peggiori. Così è stato nel 1968, quando gli studenti hanno messo in piedi un casino disgustoso che ha gettato le premesse del terrorismo, i cui militanti non andavano nei locali notturni con lo spray urticante, bensì si facevano largo con la p38, sparando a destra e a manca e compiendo stragi di magistrati, di dirigenti d' azienda e pure di giornalisti. Nacquero vari gruppuscoli di esaltati rossi (alcuni neri) che si distinsero per foga omicida. Le Brigate Rosse e Prima Linea generarono più vittime di dieci terremoti, Lotta Continua stecchì il commissario Calabresi e per distrarsi un po' sfondò il cranio a Ramelli, un diciassettenne reo di non essere di sinistra. E questi sarebbero i bravi figli di un tempo più raccomandabili di quelli attuali tanto vituperati, cattivi e frustrati, prodotti di una modernità che alleva virgulti esecrabili? Chi non ha memoria del passato è sempre portato a dire "mala tempora currunt" e dimentica che i "mala tempora currunt" durano da 2000 anni. Certamente, nel corpo sociale spesso coloro che sono in verde età esprimono tendenze condannabili, sono i foruncoli della terra che vanno schiacciati onde evitare infezioni come quelle sessantottesche, però i ragazzi contemporanei non rappresentano un cancro come qualcuno erroneamente pensa. D' altronde i giovani - è scontato - non mutano mai la loro indole. Sono convinti di essere capaci di cambiare il mondo, e allorché poi si accorgono di non essere in grado neanche di cambiare se stessi si quietano, i più fortunati finiscono al Rotary e i più sfortunati all' ospizio, così la smettono di rompere i coglioni. Teniamoci quindi i nostri guaglioni e cerchiamo di limitare i loro danni senza demonizzare troppo ciò che una minoranza di essi compie sconsideratamente. L' importante è che non imitino la nostra generazione di assassini. di Vittorio Feltri

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