Non nominare invano i soldati italiani feriti dall'Isis
Nell'urgenza di dare la notizia nel modo più completo possibile, i giornali commettono troppo di frequente l' errore di fornire dettagli che per il lettore sono inutili e che sarebbe opportuno restassero segreti per non mettere in pericolo i soggetti coinvolti. È accaduto in questi giorni che, in relazione all' attentato subito dai nostri militari in Iraq ad opera dell' Isis, i quotidiani e le agenzie di stampa abbiano diffuso i nomi ed i cognomi dei soldati rimasti vittime insieme a particolari inerenti alle loro esistenze: età, residenza, stato civile, eccetera. Il fatto è grave poiché questi militari, appartenenti alle forze speciali, agiscono in teatri di guerra sotto copertura, tanto che neanche ai loro familiari è dato sapere dove si trovino e di cosa si occupino. Essi operano in totale anonimato contro l' esercito dello Stato islamico che non è composto da pecorelle, bensì da spietati assassini, assetati di sangue e di vendetta. Ecco perché rendere di dominio pubblico le generalità di codesti uomini è una imperdonabile leggerezza, che ne pone a rischio la pelle e desta sconcerto e preoccupazione soprattutto nei parenti dei soldati feriti. Mauro Pisani, babbo di Marco Pisani, uno dei giovani rimasti compromessi nell' attacco, ci ha inviato una toccante mail di protesta nei confronti di quei quotidiani, sia cartacei sia digitali, e di quei telegiornali che hanno fatto il nome di suo figlio, specificando il luogo di residenza, l' età, il corpo speciale di appartenenza ed altri particolari, e hanno altresì divulgato informazioni particolareggiate circa l' intervento di amputazione delle gambe che il ragazzo ha subito a causa delle ferite riportate. Una crudeltà insensata ai danni di fratelli, nonni, mamme, papà che guardano la tv e che vedono gettati in pasto alla gente ragguagli cruenti che riguardano i loro cari. «Questo non è corretto, in quanto li riteniamo dati eccedenti e non necessari ai fini dell' informazione di interesse pubblico e di palese violazione della privacy», sostiene Pisani, il quale sta avviando un' azione legale contro quei fogli che hanno svelato l' identità di Marco. Pensiamo per un attimo a questo babbo, vestiamone - sebbene sia difficile - i panni: è lontano migliaia di chilometri dal figlio, non può abbracciarlo, non può parlargli, non può rassicurarlo, vederlo, non sa se ora è cosciente, o se è ancora sedato, non sa neanche se Marco è già stato messo al corrente circa il fatto che ha perso un arto, o forse entrambi, non dorme, non vive più da quando il comandante delle forze speciali di Livorno ed uno psicologo sono giunti in casa sua e ricorrendo alle parole più delicate possibili hanno spiegato a lui e a sua moglie che il loro ragazzo è stato colpito in Iraq. NONNI ALL' OSCURO - Come se questo dramma non bastasse, negli ultimi giorni questo papà devastato dal dolore ha dovuto rasserenare i suoi anziani genitori, ossia i nonni di Marco, cercando di convincerli che quel Marco Pisani di cui parla il telegiornale non è il loro nipotino, ma un omonimo, che - guarda caso - abita pure a Livorno ed è coetaneo di Marco. «Mio figlio, per motivi di sicurezza e riservatezza, non rende nota la sua attività nemmeno agli amici più stretti e ai familiari. Mia sorella, sua zia, sapeva che lavorava nell' esercito, ma non in queste operazioni. È venuta a conoscerlo dalla tv. Io, il padre, fino ad ieri, quando ci hanno avvertito dell' accaduto, non avevo idea in quale parte del mondo mio figlio stesse servendo lo Stato italiano, rispettando quanto richiesto dai suoi superiori. Oggi si parla di attentato dell' Isis, e la Rai fa nome e cognome di Marco, mettendo a repentaglio la sua e la nostra sicurezza nel futuro. In aggiunta alla disgrazia dobbiamo fronteggiare pure questi problemi che erano evitabili», continua Pisani. Oltre ai nonni di 87 e 92 anni, che «se lo scoprono muoiono di infarto», ci sono i conoscenti e gli amici di Marco che seguitano a tempestare la famiglia di telefonate. E poi c' è il fratello di Marco, il quale studia a Londra. «Volevo lasciarlo tranquillo almeno per un po', almeno finché Marco non sarebbe tornato a casa, invece, avendo saputo tutto dalla stampa, vuole mollare lo studio e rientrare in Italia», ci dice Pisani a proposito del secondogenito. «Mi chiedo: cosa è rimasto della privacy? Forse solo le cartacce inutili, obbligatorie per legge?», afferma questo babbo con la voce rotta dalla sofferenza, il quale denuncerà gli organi di stampa che hanno pubblicato le generalità di suo figlio. «Un dirigente del ministero della Difesa mi ha garantito che le informazioni non sono trapelate dal dicastero stesso. Mi domando allora chi abbia rivelato alle agenzie i nomi, rimbalzati poi su Repubblica, la Stampa e altri giornali, da dove non sono stati rimossi sebbene io stesso ne abbia chiesto l' eliminazione», prosegue Mauro. DI MAIO E GUERINI - L' uomo ha spedito mail pure a Luigi Di Maio e al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, tuttavia non ha ottenuto risposta. «Come mi sento? Non mi sento tutelato. Mi sembra che siamo in mano a dilettanti e che si giochi con le cose serie. Inoltre, adesso sono arrabbiato. Tengo saldi i nervi per sostenere i miei, poi dovrò garantire supporto psicologico a Marco, stargli accanto, sono impaziente di abbracciarlo. Non lo vedo da luglio, allorché partì. Prima di Natale sarebbe rientrato E poi ci è piovuta addosso questa tragedia». Mauro ci parla di Marco, alpinista, paracadutista, esperto di sopravvivenza in condizioni quasi impossibili, appassionato di sport estremi, eppure sempre equilibrato, prudente, responsabile. Questo giovane eroe ci ha protetti. In silenzio. Tuttavia noi non siamo stati capaci di salvaguardare lui, per l' ansia di sbandierare tutto riguardo la sua esistenza. di Azzurra Barbuto