«La morte degli animali può essere causata dalla negligenza di un veterinario, dalla mancata assistenza nel- le strutture preposte, dal randagismo e, perché no, anche dalla sperimentazio ne in laboratorio». Esordisce così Ilaria Ferri, direttore scientifico dell’Ente Nazionale Protezione Animali( Enpa) facendo un chiaro prospetto di quello che può causare la morte di un cane, di un gatto o di un cavallo. Insomma, anche nel mondo a quattro zampe - come purtroppo accade in quello degli esseri umani - esiste la malasanità, e a quanto pare assume più di una declinazione. Infatti, succede non troppo raramente che un malore improvviso venga sottovalutato o frainteso da parte del veterinario e così l’amico peloso vittima magari di una gastrite, subisce un operazione al cuore o alla vescica senza alcun motivo. Con o senza intervento chirurgico, non sono pochi i casi in cui l’animale addirittura muore. Lasciando un padrone, il più delle volte intere famiglie, in preda alla disperazione più nera. Ci sono anche centri con 4-500 ospiti, tenuti in condizioni igenico-sanitarie non adeguate, magari senza sterilizzarli. Come accade spesso anche in altri settori e problematiche, per la «malasanità veterinaria» lo Stivale si divide perfettamente in due: da un lato le regioni virtuose quanto a strutture e cura degli animali: quelle del Nord, con l’Emilia-Romagna che si conquista la maglia rosa, dall’altro quelle più carenti e meno efficienti, tutte concentrate nel Sud della Penisola. In Calabria, Puglia e Sicilia, la situa- zione è disastrosa, probabilmente perché, denuncia l’Enpa, «le amministrazioni locali sono lacunose in generale e ciò si ripercuote anche sulla gestione degli animali. È importante però sottolineare che non si tratta di una questione politica, ma semmai di coscienza e di cuore». Cuore degli uomini. Inoltre a peggiorare la situazione ci si mette pure la legislazione italiana che permette ai laboratori di testare le loro «pozioni magiche» sugli animali, ma nel momento in cui, sono proprio questi ultimi ad aver bisogno di cure, i medicinali che sono sul commercio per uso umano - in particolare, i farmaci generici - non possono essere prescritti dai veterinari. «Non si possono prescrivere medicinali che sono sul commercio per uso umano, se esiste il corrispettivo farmaco veterinario», spiega la dottoressa Ferri. Questi ultimi, però, costano dai 20-40 euro, mentre il generico che qualsiasi persona può usare - testato spesso in laboratorio sugli animali appunto - costa tra i cinque e i dieci euro. A tal proposito, il veterinario Francesco Corrado, iscritto alla Federazione Nazionale Ordine Veterinari italiani, replica: «È assolutamente vero che alcuni farmaci in commercio per uso umano potrebbero essere prescritti agli animali, ma occorre specificare che spesso il padrone di un animale per risparmiare, si fa prescrivere il medesimo farmaco dal proprio medico curante, come se dovesse usarlo per se». In questo caso, la spesa peserebbe sul Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) e ciò potrebbe comportare un illecito. Inoltre, rispetto ai farmaci per uso umano potrebbe porsi un problema di dosaggio. Infatti, una capsula di antibiotico è studiata per una persona che ha un certo peso e la stessa non può essere somministrata a un cane che magari pesa quindici kg. Tornando alle storie di presunta malasanità propriamente intesa, ce ne sarebbero molte da raccontare. «Sono centinaia i casi che vengono segnalati alla nostra associazione ogni anno» racconta Daniela Ballestri, presidente della onlus «Arca 2000». Panna, ad esempio, è una cagnolina, morta qualche anno fa, perché la sua infezione all’utero è stata scambiata per una semplice colica epatica. «Poi c’è Barol, un pastore tedesco di razza belga che per 9 anni è stato al fianco dell’Esercito Italiano in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo. All’inizio di quest’anno è morto. A ucciderlo non sono stati né un campo minato, né una bomba artigianale, ma una presunta distrazione da parte del medico che ce l’aveva in cura. I suoi padroni hanno denunciato l’accaduto e il veterinario si è difeso dicendo che ha fatto il possibile». Il veterinario aggiunge che «come tutti i medici, anche i veterinari possono sbagliare. Assurdo è quando l’erro- re non è frutto di una umana distrazione ma di cattiva gestione di mezzi e strutture». Un intervento chirurgico infatti, non può essere effettuato in uno studio ventinario, ma è necessario avere a disposizione un ambulatorio attrezzato. Infine, è opportuno precisare che ogni veterinario ha l’obbligo di presentare qualsiasi esame ha effettuato sul paziente a quattro zampe perché questi sono pagati dal proprietario dell’animale. di Antonella Luppoli